di Claudia Tarantino

Centinaia di agricoltori ed allevatori della Coldiretti provenienti dalle aree terremotate di Marche, Abruzzo, Umbria e Lazio si sono riuniti oggi a Roma per protestare davanti al Parlamento.
“Ho perso gli animali, non la dignità”, “Meno chiacchiere più stalle” si legge su alcuni cartelli esposti in Piazza Montecitorio per denunciare tutte le difficoltà che allevatori ed agricoltori stanno vivendo da sei mesi a questa parte a causa dei ritardi nella costruzione degli alloggi temporanei e delle casette, dello spopolamento dovuto all’esodo forzato delle popolazioni residenti e della crisi del turismo.
Affiancati dai Sindaci dei Comuni maggiormente colpiti dal sisma, hanno portato a Roma anche alcuni animali sopravvissuti ai crolli delle stalle ed i prodotti locali salvati dalle macerie.
Chiedono al Governo interventi più rapidi perché, ad esempio, i bandi di gara per la ricostruzione di stalle e fienili sono partiti con enormi ritardi e con eccessive rigidità burocratiche. Tra le richieste, anche l’erogazione dei fondi dovuti alle imprese colpite per garantire la liquidità necessaria alla ripresa delle attività, piani di decontribuzione in favore delle famiglie e delle imprese già operanti, misure di defiscalizzazione per chi investe nei territori colpiti ed incentivi per la ripresa dei flussi turistici.

La denuncia di Coldiretti
Secondo Coldiretti “il crollo di stalle, fienili, caseifici e la strage di animali hanno limitato l’attività produttiva nelle campagne, mentre lo spopolamento ha ridotto le opportunità di mercato”. Rischia perciò di saltare anche “l’ultimo presidio del territorio ferito dal terremoto, caratterizzato da una prevalente economia agricola con una significativa presenza di coltivazioni di pregio e allevamenti che è possibile salvare solo se la ricostruzione andrà di pari passo con la ripresa del lavoro, che in queste zone significa soprattutto cibo e turismo”.
Ad oggi quasi 9 animali “sfollati” su 10 (l’85%) non possono essere ospitati nelle stalle provvisorie annunciate e gli allevatori non sanno ancora dove ricoverare mucche, maiali e pecore sopravvissuti, costretti al freddo o in strutture pericolanti. Ma terremoto e maltempo hanno provocato anche un generale dissesto del territorio con ettari di terreno agricolo fertile franato che non consente la normale coltivazione, mentre l’interruzione della viabilità incide sul commercio delle produzioni salvate.

Presentato il dossier #stalletradite
In occasione della manifestazione a Piazza Montecitorio è stato divulgato anche il Dossier Coldiretti #stalletradite dal quale emergono danni diretti ed indiretti per 2,3 miliardi nelle aree rurali terremotate tra strade e infrastrutture, case rurali, stalle, fienili, magazzini, ma anche stabilimenti di trasformazione, rivendite, macchine agricole, macchinari di lavorazione e animali morti e feriti ai quali vanno aggiunte le perdite per il crollo della produzione di latte e delle coltivazioni e per gli effetti negativi sul commercio a causa della fuga dei turisti e dei residenti.
Secondo le elaborazioni Coldiretti sull’ultimo censimento Istat “sono 25mila le aziende agricole e le stalle nei 131 comuni terremotati di Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo, con 292mila ettari di terreni agricoli coltivati soprattutto a seminativi e pascoli da imprese per la quasi totalità a gestione familiare (96,5%). Significativa la presenza di allevamenti con quasi 65 mila bovini, 40mila pecore e oltre 11mila maiali dalle quali si evidenzia anche un fiorente indotto agroindustriale con caseifici, salumifici e frantoi dai quali si ottengono specialità di pregio famose in tutto il mondo”.

Prodotti tipici a rischio
Secondo Coldiretti “a rischio c’è un patrimonio di specialità conservate da generazioni nelle campagne diventate simbolo del Made in Italy in tutto il mondo, dal pecorino di Farindola al pecorino Amatriciano, dalla lenticchia di Castelluccio al pecorino dei Sibillini, dal Vitellone Bianco Igp alla patata rossa di Colfiorito Igp, dallo zafferano al tartufo, dal Ciauscolo Igp al prosciutto di Norcia Igp, dalla mortadella di Campotosto al Caciofiore aquilano, fino alla Ventricina teramana”.
I prodotti locali salvati dalle macerie rischiano ora di sparire per il crollo del 90% del mercato locale. Infatti, l’abbandono forzato delle popolazioni, trasferite sulla costa, e la fuga dei turisti hanno fatto venir meno la clientela, mettendo in grave difficoltà le aziende che, oltre a non vendere, devono comunque continuare a lavorare, per mungere gli animali e trasformare il latte, ad esempio.
A causa dell’inagibilità dei laboratori che si trovano nelle zone del cratere, anche il settore dei salumi è in forte affanno perché al blocco delle vendite si è accompagnato quello della produzione. Ma l’assenza di acquirenti sta interessando un po’ tutte le produzioni, compresi i legumi.

Fuga dei turisti
La situazione di difficoltà in cui versa l’intera offerta turistica delle zone terremotate, che fondava il suo successo sulle sinergie tra cultura, ambiente e qualità alimentare, è dimostrata dal fatto che si sono dimezzate le presenze nei 3400 agriturismi complessivamente attivi nelle quatto Regioni colpite, mentre nel cratere i 444 agriturismi presenti sono praticamente vuoti.
Una delle proposte avanzate dalla Coldiretti è di incentivare il turismo nelle Regioni colpite dal sisma prevedendo la detraibilità delle spese sostenute dai turisti per i soggiorni nelle strutture ricettive agrituristiche che potrebbero essere considerate oneri deducibili a lato della dichiarazione dei redditi.

Filmato – denuncia #stalletradite
Nel corso della manifestazione è stato anche distribuito il filmato-denuncia realizzato dalla Coldiretti sui gravi ritardi della ricostruzione nelle aree rurali dove “si sommano inefficienze, incompetenze e furberie”.
Coldiretti denuncia, ad esempio, la scarsa qualità delle stalle mobili. “Una vera e propria galleria degli orrori fra teloni strappati alla prima raffica di vento, chiusure rotte o montate male, abbeveratoi sbagliati. E’ bastata qualche pioggia per allagare completamente le stalle provvisorie, rendendole delle vere e proprie vasche dove allevare più le trote che le pecore, mentre a qualche altra è franata addirittura la terra sotto. Senza dimenticare i teloni non fissati, per la gioia di animali selvatici praticamente liberi di penetrare nelle strutture. E solo poco decine ha l’allaccio della luce e dell’acqua e sono funzionanti”.