Tra il 2011 e il 2014 il nostro Paese ha perso oltre 194mila imprese, ben il 4,6%, e quasi 800mila addetti, pari al -5%. Inoltre, l’Italia resta un paese complessivamente poco internazionalizzato rispetto alle maggiori economie europee: nel 2015 infatti la quota di Investimenti diretti esteri sul Pil, pari a 25,9% in uscita e 18,6% in entrata, è meno della metà di quelle di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. I dati sono stati diffusi oggi dall’Istat nel rapporto sulla competitività dei settori produttivi. Durante la recessione, un’impresa su due ha ridotto il valore aggiunto in tutti i settori manifatturieri e in quasi tutto il terziario. Ad essere più colpite dalla crisi sono state le imprese che hanno venduto solo sul mercato interno. Nello specifico il settore che ha risentito di più della crisi è stato quello delle costruzioni con una riduzione del 10% di imprese, del 20% di addetti e del 30% di valore aggiunto. A seguire il comparto manifatturiero (-7,2% di imprese, -6,8% di addetti) e i servizi di mercato (-4,7% e -3,3%). In controtendenza i servizi alla persona, unico comparto ad aver aumentato unità produttive (+5,3%) e addetti (+5%). A livello macroeconomico la produttività totale dei fattori (Tfp) è cresciuta sia nel 2014 (+0,7%) sia nel 2015 (+0,4%). Una stima della Tfp a livello d’impresa rivela che la recessione del 2011-2014 ha determinato una divergenza nell’andamento della produttività dell’industria (+2,8% in media, con picchi nei settori di pelli e automobili) e dei servizi (-1,7% in media, con cali vistosi nei comparti di studi professionali, servizi postali e telecomunicazioni). Solo chi vende su scala mondiale ha aumentato occupazione (+5,1%, 21.800 addetti) e valore aggiunto (+6,5%, 1,8 miliardi di euro), mentre le imprese solo esportatrici e le Two-way traders (esportatori-importatori) hanno subito riduzioni su entrambe le variabili. Rispetto alla quota di Investimenti diretti esteri, l’Istituto di statistica rileva che tra il 2008 e il 2014 il numero di addetti delle controllate all’estero nella manifattura è aumentato di 110mila unità (+14,5%), arrivando a quasi 860mila addetti. Nel 2014, le controllate manifatturiere hanno generato circa 85 miliardi di esportazioni dai paesi nei quali operano. Nel 2016 la performance dei principali settori di punta della specializzazione italiana è stata sostenuta dalla domanda interna, al contrario del 2015 quando a fare da traino era stata la domanda estera. Difficoltà si sono riscontrate anche nel settore dell’artigianato. Secondo i dati forniti da Unioncamere e InfoCamere diminuiscono le piccole imprese ma aumentano le più grandi. Inoltre, è di -12.333 imprese il saldo tra iscrizioni e cessazioni per le ditte individuali (-1,39%) a fine 2016, quasi 6mila in meno per le società di persone (-2,51%). Per l`artigianato il 2016 si è chiuso ancora con il segno meno tra iscrizioni e cessazioni (-15.811 unità) ma in miglioramento rispetto al 2015. Ed è il risultato meno pesante dal 2011. Bilancio positivo, invece, per le società di capitali: +2.477 imprese pari al +3,28% rispetto al 2015. A livello territoriale, le uniche province con saldo positivo sono Milano (+300 imprese, +0,43%) e Bolzano (+26, +19%). Tutte le altre archiviano un 2016 con segno meno, con cali compresi tra il -0,12% di Grosseto e il -2,95% di Chieti.