La paura fa novanta: lo spettro di un referendum indipendentista in Scozia potrebbe indurre la Gran Bretagna ad interrompere la libera circolazione delle persone. Lo ha svelato il Daily Telegraph, riportando in termini di indiscrezione, l’intenzione del premier Theresa May di introdurre nuove norme per i cittadini dell’Ue che attraversano la Manica: a partire dal prossimo mese – per il giornale la data dovrebbe essere appunto il 15 marzo, in concomitanza con l’avvio del negoziato per l’uscita dall’UE – non godranno più del diritto di rimanere in modo permanente nel Paese, ma dovranno chiedere e ottenere un visto di lavoro per restare.
Uno strappo in avanti che potrebbe complicare la vita delle persone, anche degli inglesi che lavorano in Italia, e che potrebbe condurre ad altri esiti imprevedibili. Le scelte dettate dalla paura e l’agitazione degli spettri, come accaduto con la campagna contro la Brexit, provocano sempre risultati non voluti o comunque inimmaginabili. Ad oggi non abbiamo assistito ad alcuna delle catastrofi preconizzate dai cosiddetti europeisti, i quali non si accorgono che la loro propaganda falsa e sterile, perché senza alternative e senza un vero cambio di rotta nelle politiche economiche e sociali, rischia di indurre altri Stati membri ad uscire dalla Ue seguendo un afflato sovranista. Stesso errore, sul fronte opposto, sta compiendo Theresa May, con le minacce e gli strappi in avanti. Purtroppo la storia non è mai maestra.
Veniamo ai dettagli: dopo il 15 marzo, qualora le indiscrezioni del Daily Telegraph si rivelassero vere, i cittadini dell’Ue non godrebbero più del diritto di rimanere in modo permanente in Gran Bretagna, ma dovranno chiedere e ottenere un visto di lavoro per restare. Va detto però che le indiscrezioni sono state in parte smentite dal governo britannico, che ha dichiarato che non c’è una scadenza perché l’obiettivo è quello di raggiungere un accordo con Bruxelles sul futuro sia dei cittadini comunitari che vivono nel Regno di Sua Maestà sia per i britannici che sono espatriati nel Continente. D’altro canto le smentite non reggono: dall’avvio delle procedure di uscita dall’Unione europea, ai sensi dell’art. 50 del Trattato, il governo londinese ha già iniziato a formalizzare una serie di limitazioni al principio di libera circolazione, come quella, secondo il Sunday Times, di un visto quinquennale senza benefici previdenziali ai cittadini Ue che lavorano in settori chiave, e una lista di comparti con posti di lavoro disponibili per gli immigrati dalla Ue, come già accade per l’immigrazione non europea.
Se è ben nota la preoccupazione dei tanti italiani che da anni vivono e lavorano oltremanica, oggi assurge agli onori delle cronache anche quella dei cittadini britannici in Italia: Harry Shindler, rappresentante della comunità degli inglesi in Italia, ha dichiarato all’agenzia di stampa Adnkronos che l’eventuale stop alla libera circolazione “è una cosa molto seria, siamo veramente preoccupati, rischiamo di dover lasciare l’Italia”. 95 anni, nel nostro Paese dal secondo dopoguerra, dopo aver partecipato allo sbarco ad Anzio, Shindler ha presentato vari ricorsi contro la Brexit, arrivando persino all’Onu: “Vogliamo essere noi, inglesi che abitiamo qui, a negoziare con il governo italiano. Il governo di Londra non può parlare per noi, non ci ha fatto votare al referendum” (dopo 15 anni di permanenza all’estero la legge britannica prevede la decadenza del diritto di voto). Insomma siamo al paradosso: non ci sono solamente singoli Paesi desiderosi di uscire dal sistema comunitario, non solo singole autonomie, vedi la Scozia, desiderose di uscire da un sistema statuale, ma addirittura singoli cittadini che non riconoscono al loro Paese di provenienza la legittimità di negoziare la loro condizione nel Paese ospitante. L’effetto domino porta a risultati imprevedibili.
Nonostante ciò qualcuno continua ad agitare altri spettri. Oggi, il commissario europeo al Bilancio, Gunter Oetting, ha dichiarato che la futura uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea rischia di tradursi in un conto più salato per gli altri Paesi che sono contributori netti, come l’Italia, poiché è improbabile che i membri più deboli, percettori netti, rinuncino a parte dei loro vantaggi per compensare la riduzione dei contributi. Ma, come abbiamo visto, anche nel Regno Unito la via d’uscita dall’Unione europea è accidentata su più fronti, a partire dal timore che la Scozia chieda un secondo referendum sull’indipendenza dal Regno Unito, dopo quello del 2014, che era servito proprio a salvare la permanenza nel mercato unico europeo. May allo stesso tempo non può negare il referendum alla Scozia, sebbene a parole lo abbia già fatto, perché questa decisione rischierebbe di aprire  una vera e propria crisi costituzionale.
Insomma, a poche settimane dall’avvio del negoziato ufficiale, la Brexit continua ad essere un intrico di nodi da sciogliere e il rischio di perdere il capo del filo è serio. Se la paura fa 90, la storia non è mai maestra.