Lama cacciato dalla Sapienza, 1977

Lama cacciato dalla Sapienza, 1977

del prof. Biagio Cacciola

Il 1977 segna una profonda novità nello scenario politico italiano. La maschera del PCI, partito di lotta e contemporaneamente di governo, cade in modo clamoroso con la cacciata di Luciano Lama dall’università La Sapienza di Roma, il 17 febbraio, con una grande manifestazione di migliaia di studenti, tra cui anche aderenti al Fuan–caravella di Roma. Infatti, proprio quel giorno segna l’impossibilita’ per i comunisti di cavalcare contemporaneamente la tigre della maggioranza e quella dell’opposizione di fronte alle richieste del movimento giovanile, che stava nascendo nelle università, di un’ istruzione diversa.
Il sociologo, già allora ‘politicamente corretto’, Franco Ferrarotti, scrisse sul Corriere della Sera che quello che era accaduto all’università di Roma era oggettivamente di “matrice neofascista”. Di fronte a queste accelerazioni, pero’, avevamo ancora un partito, l’Msi–dn, a cui anche il Fuan faceva riferimento, cristallizzato su posizioni immobilistiche. Infatti la politica di Almirante aveva subito un progressivo deterioramento con la sconfitta alle politiche del 1976 e la nascita del partito scissionista di Democrazia nazionale. L’orgoglio di Almirante, al di la’ della sua abilita’ retorica, fini’ pero’ per irretire il partito in un’ opposizione fatta di saluti romani e nostalgie senza futuro. Il Fuan, che aderiva al partito con uno statuto autonomo, diversifico’ la sua posizione non accettando una rendita giovanile nostalgica e parafascista, a differenza dell’ organizzazione giovanile guidata allora da Fini. Il Fuan ruppe i vecchi dettati del neofascismo giovanile, riconoscendo che la spinta del 1968, sostenuta in parte da forze nazionalpopolari, anche se esaurita nella sua fase innovativa, aveva aperto squarci di novità su un mondo come quello della politica italiana, arroccato a difesa di poteri e privilegi. Di fronte a tutto questo, la partecipazione alla grande manifestazione di contestazione di Lama all’università segnava uno spartiacque forte contro la posizione di quasi dieci anni prima, con l’intervento sulle scale della Facoltà di Legge di Almirante e Caradonna contro il movimento degli studenti di allora. Di fronte a questa situazione, fu un vero e proprio choc l’intervista che rilasciai al Settimanale di Pietro Zullino. Soprattutto, per quei tempi, dove era difficile per i capi storici dell’Msi avere spazio sui giornali, il sottoscritto era stato già oggetto di articoli sull’Espresso e su Panorama. Ora, l’intervista più dettagliata al settimanale di Zullino sconvolgeva i vecchi schemi destra-sinistra. Gli stessi schemi che, per molto tempo, avevano funzionato da divide et impera, bloccando la politica italiana e portandola al compromesso storico. L’intervista iniziava testualmente con le affermazioni del giornalista Paolo Nasso che scriveva “i giovani del Fuan, l’organizzazione universitaria del Msi, tentano con qualche successo di recuperare credibilità e spazio politico. La loro nuova posizione li porta a fianco degli indiani metropolitani e di quelle organizzazioni studentesche che rifiutano la leadership marxista e che perciò hanno messo fuori dal movimento le organizzazioni che ufficialmente si pongono alla sinistra del PCI: pdup, avanguardia operaia, lotta continua” . Nel corso dell’intervista affermavo testualmente: “I giovani del Fuan hanno partecipato e non in modo clandestino alla cacciata di Lama dall’Universita’ di Roma“. Continuavo affermando: ”la necessita’ di un’analisi di una società industrializzata e che l’impegno del Fuan era cercare di capire le contraddizioni e , possibilmente, di farle esplodere“. Paolo Nasso noto’ che la nostra analisi della crisi della società era fuori dai vecchi schemi nostalgici. Continuavo dicendo: “i mali vanno ricercati nelle scelte operate negli anni cinquanta, con un modello di sviluppo capitalistico che ha portato allo spostamento delle masse contadine e artigiane e alla loro ghettizzazione delle periferie senza anima delle grandi città. Il vecchio principio di autorità, l’ideologia comune, erano scomparsi, con la conseguenza della fine del dialogo tra figli e genitori. A trarre vantaggio da questo stato di cose era stato il PCI che , strumentalizzando la rivolta universitaria del ’68 e la conseguente liberalizzazione degli accessi all’università, era entrato ancora di piu’ nell’area di potere, fino all’obbiettivo storico di sostenere una maggioranza di governo, appunto nel ’77. Il sogno del blocco gramsciano di alleanza tra studenti e operai era li’, a un passo. La cacciata di Lama lo interruppe in modo sconvolgente per la sinistra marxista. Infatti l’alternativa che il Fuan perseguiva tenacemente era totale contro quel sistema capitalistico. Non eravamo pero’, al contempo, i restauratori di un ‘ancien regime’ perchè respingere quel tipo di società tecnologizzata era anacronistico , con buona pace delle teorie tradizionaliste. Affermavo, sempre nell’intervista, che eravamo per una società a misura d’uomo, dove il lavoro e’ inteso come dovere sociale, prima come responsabilità e solo dopo come proprietà. Il nostro discorso era rivolto ai disoccupati, ai sottoccupati, ai giovani, alle donne, ai disperati, ai diversi. Proprio da questa analisi partiva l’identificazione con le ragioni esistenziali del movimento. La protesta della stragrande maggioranza dei giovani non era in una prospettiva materialistica, ma attaccava invece il sistema e i suoi falsi valori. I ragazzi rifiutavano l’utopia marxista della liberazione futura. Volevamo il presente e il personale. Respingevamo come Fuan totalmente la logica della p38 (che si sarebbe scatenata di li’ a poco) perchè affermavo testualmente “questo tipo di violenza non porta alla caduta del sistema ma al suo rafforzamento. La stragrande maggioranza dei giovani lo ha capito”. Certo, la posizione del Fuan era difficile, con alle spalle un partito chiuso, ancorato alle sue parole d’ordine, che non leggeva i cambiamenti epocali in atto. D’altra parte, frange avevano scelto la lotta armata. Quella nostra era invece una posizione eretica che, pero’, rivendicava una propria originalita e presenza nella società italiana, che non si rifaceva a nessuno dei vecchi schemi del passato e che, all’epoca, definivamo situazionista. La caravella aveva dato alla sua linea politica una connotazione esistenziale. Difficile in una situazione dove il compromesso storico chiudeva, col pretesto della lotta al terrorismo, ogni voce che fosse fuori dal coro. L’unico leader che capì con intelligenza quello che stava succedendo fu Bettino Craxi. Anche per questo assunse nel decennio successivo una visione movimentista che lo porto’ a modernizzare l’Italia degli anni ’80.