di Nazzareno Mollicone –  Responsabile nazionale dell’Ufficio Politiche previdenziali dell’Ugl

Per una coincidenza certamente non voluta, nella giornata del 15 febbraio vi sono stati due momenti diversi dai quali si ricavano informazioni aggiornate all’anno 2015 (ultimo anno per cui si dispongono dei dati completi ed analitici) sulla previdenza pubblica in Italia e su quello che è divenuto ormai l’unico Ente gestore, ossia l’INPS.
Il primo evento è stato la presentazione, alla Sala della Lupa della Camera dei Deputati, del rapporto annuale elaborato dal Centro studi e ricerche di “Itinerari previdenziali”, organismo privato presieduto dal prof. Alberto Brambilla che di fatto sostituisce il preesistente “Nucleo di valutazione della spesa previdenziale” istituito dalla riforma Dini del 1995 ed abolito dall’ex-ministro Fornero, forse perché bisognava nascondere all’opinione pubblica i veri dati sulla realtà previdenziale italiana.
L’altro evento è stato la pubblicazione del rapporto della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria dell’INPS e sul sistema ordinamentale dell’Istituto del quale si evidenziano delle carenze.

Il rapporto tra entrate ed uscite

Il primo dato da prendere in considerazione è il rapporto tra entrate ed uscite. Nel 2015 la spesa totale è stata di 254 miliardi di euro, con un piccolo aumento rispetto al 2014: è da rilevare però che le prestazioni di tipo assistenziale sono aumentate dell’8,1% rispetto a solo lo 0,8% della spesa strettamente previdenziale.
Come è stata finanziata questa spesa? Essa è stata finanziata per il 75,3% dai contributi, dai trasferimenti da parte dello Stato per coprire (parzialmente) i costi della “GIAS” (Gestione Interventi Assistenziali) mentre la copertura della fiscalità generale (ossia, dal bilancio statale) è stata del 10,5%.
Ma interessante è vedere anche il grado di copertura delle varie gestioni previdenziali.
• Il Fondo dei dipendenti privati è coperto per il 98,8% dai contributi previdenziali versati dai datori di lavoro e lavoratori, e dalla parte di sua spettanza di trasferimenti da parte dello Stato a copertura degli interventi assistenziali;
• Il Fondo dei pubblici dipendenti, confluito nell’INPS dallo scioglimento dell’INPDAD, reca invece una copertura tra contributi e GIAS del 70,4% provocando un saldo negativo di quasi il 30% delle spese pari a 19,811 milioni di euro. Questa voce, è inutile sottolinearlo, è quella che intacca profondamente l’equilibrio dell’INPS;
• Altri vecchi fondi, in cui sono in diminuzione i contribuenti per svariate ragioni, presentano saldi negativi: gli Artigiani, i Coltivatori Diretti, il Fondo del Clero. Però il deficit da essi cumulati incide anch’esso sul bilancio, perché è di 3.849 milioni;
• Un forte ma parziale riequilibrio proviene dal fondo dei lavoratori parasubordinati il quale, avendo finora erogato poche pensioni, ha un saldo attivo di 1.016 milioni.

A questi dati va aggiunta una considerazione. Il fondo lavoratori dipendenti avrebbe avuto dei risultati migliori se non fosse appesantito dalla confluenza nel suo comparto di preesistenti fondi con gestione separata, ossia quello dei Trasporti, degli Elettrici, dei Telefonici e dei Dirigenti delle Aziende Industriali, costituiti attualmente prevalentemente da pensionati (perché i nuovi assunti vengono iscritti al fondo lavoratori dipendenti) e le cui pensioni – in passato calcolate con criteri diversi – sono mediamente molto più alte di quelle dei lavoratori dipendenti: si passa da 52.000 annue per i dirigenti d’azienda ai 26.000 annue per gli elettrici ed i telefonici.
Da aggiungere, a parziale compensazione di questi dati, che l’attivo della gestione delle prestazioni temporanee (ossia, le indennità di disoccupazione e la cassa integrazione) compensa il passivo patrimoniale del fondo pensioni lavoratori dipendenti: essa ha un risultato di esercizio positivo per 2.687 milioni ed un attivo patrimoniale di ben 186 miliardi che compensa il passivo patrimoniale dei lavoratori dipendenti che è di 139 miliardi,

Il contributo dello Stato

Nel 2015, il complesso dei trasferimenti da parte dello Stato è stato di 104 miliardi di euro, con un aumento di sei miliardi rispetto all’anno precedente. Ma questi trasferimenti non devono essere considerati – come spesso si fa polemicamente quando si vuole evidenziare l’elevato costo della spesa previdenziale al fine di ridurne le prestazioni – come copertura di deficit di gestione.
In realtà, gran parte di questi trasferimenti sono dovuti in quanto lo Stato – nonostante le richieste sempre avanzate dai sindacati ed in particolare dall’UGL – non ha mai voluto istituire un Ente separato per l’assistenza, che è un compito esclusivo dello Stato. Avendo addossato all’INPS tutti i tipi di assistenza, è poi necessario che ne vengano pagati i costi.
E così abbiamo:
• per oneri pensionistici (integrazioni al minimo, assegni sociali, pensioni ed indennità per gli invalidi civili, ecc.) 72 miliardi di euro;
• per oneri di mantenimento del salario (cassa integrazione straordinaria, indennità di mobilità e simili) 9 miliardi di euro;
• per interventi a sostegno della famiglia 4 miliardi di euro;
• per sgravi contributivi in determinate situazioni (ad esempio, maternità e tubercolosi) 622 milioni di euro;
• per sgravi ed altre agevolazioni contributive (gli sgravi legati al “job act” ed altri stabiliti per determinate categorie) 16 miliardi di euro;
• per interventi diversi 2 miliardi.

Come si può constatare, sono tutte spese dovute per i compiti propri dello Stato. Occorre poi aggiungere un altro elemento che in genere non si prende mai in considerazione. Si parla sempre della spesa totale previdenziale, evidenziandone la consistenza e l’incidenza sul bilancio statale: ma si dimentica sempre di dire che lo Stato, a sua volta, si riprende una parte consistente dei suoi trasferimenti mediante il prelievo IRPEF sulle pensionied i pensionati pagano ben 58,580 miliardi di euro, equivalente al 35% del totale IRPEF incassato dal fisco. Ricordiamo a questo proposito che il sindacato ha chiesto ripetutamente che ai pensionati venisse effettuato un prelievo fiscale più ridotto per compensare le maggiori spese che devono sostenere per la tarda età, a cominciare da quelle sanitarie.

Osservazione

Da questi dati si evince che il sistema previdenziale italiano, pur essendo deficitario in senso assoluto, registra al suo interno una grande varietà di situazioni. Il divario più ampio è tra dipendenti pubblici e dipendenti privati, in quanto i primi hanno al loro interno delle categorie (i magistrati, i funzionari prefettizi, i professori universitari) che hanno pensioni elevate, ed inoltre lo Stato non ha accumulato nel passato un avanzo patrimoniale a copertura delle pensioni future. Comunque gli interventi effettuati negli ultimi anni hanno riequilibrato in gran parte il sistema, e se ci fosse una vera divisione con Enti e bilanci diversi tra previdenza ed assistenza questa situazione si constaterebbe più facilmente.

L’analisi della Corte dei Conti

La Corte dei Conti, nella sua relazione sul bilancio 2015, conferma i dati suesposti e mette in guardia sull’andamento dell’anno 2016 che dovrebbe chiudersi per l’INPS con un saldo negativo di 7,650 milioni e – per la prima volta dall’istituzione dell’Ente! – un saldo negativo anche del patrimonio per 1,730 miliardi. Per evidenziare l’osservazione in precedenza effettuata sul peso dell’assistenza sul bilancio dell’INPS, la Corte rileva che nel 2015 sono state liquidate 671.934 nuove prestazioni previdenziali e 571.386 nuove prestazioni assistenziali: sono quasi equivalenti in termini numerici.

La “governance” dell’INPS

La Corte dei Conti svolge però un’altra fondamentale osservazione di sistema, ritenendo necessario un intervento normativo di riforma del sistema di amministrazione dell’INPS. Attualmente, infatti, da anni alla testa dell’Istituto vi è un solo amministratore unico che assorbe in sé le cariche di presidente ed amministratore delegato: in particolare, l’ultima persona nominata nel 2014 – Tito Boeri – interviene spesso sulla politica previdenziale e sull’attività del direttore generale. Il sindacato ha da tempo denunciata questa situazione, ed adesso anche la Corte ribadisce l’importanza del sistema duale a suo tempo stabilito dalla legge (consiglio di amministrazione e consiglio d’indirizzo e vigilanza) che invece attualmente è piuttosto ignorato dall’attuale presidente. Inoltre, occorre anche una chiara ridefinizione delle funzioni e compiti del direttore generale, che anch’esso è stato spesso “scavalcato” dal presidente.
Insomma, la Corte ribadisce chiaramente la difesa del principio della separazione tra attività d’indirizzo politico e gestione amministrativa dell’Ente, che è alla base della sua riforma varata nei decenni passati.