di Giovanni Magliaro

C’è un libro che consiglierei vivamente di leggere a chi voglia cercare di capire cosa sta succedendo oggi in Italia e nel mondo, quali sono le radici di fondo della grave crisi economica, culturale e politica che stiamo vivendo.

Il titolo è “Finanzcapitalismo” e  l’autore è Luciano Gallino (edizione Einaudi, pagine 324, euro 19). Gallino  è morto l’8 novembre 2015 dopo aver pubblicato l’ultimo lavoro su “Il denaro, il debito e la doppia crisi”. E’ stato un grande sociologo ed economista che ha dedicato molte delle sue energie allo studio dei temi del lavoro, del capitalismo e soprattutto dei meccanismi finanziari.

L’autore delinea in un formidabile affresco le grandi linee del processo, di dimensioni epocali, che vede l’affermazione fuori controllo del potere finanziario internazionale. Il finanzcapitalismo è una mega-macchina che è stata sviluppata nel corso degli ultimi decenni allo scopo di massimizzare e accumulare, sotto forma di capitale e insieme di potere, il valore estraibile sia dal maggior numero possibile di esseri umani sia dagli ecosistemi. Come macchina sociale il finanzcapitalismo ha superato ciascuna delle precedenti, compresa quella del capitalismo industriale. Il finanzcapitalismo persegue l’accumulazione di capitale facendo tutto il possibile per saltare la fase intermedia, la produzione di merci. Il denaro viene impiegato, investito, fatto circolare sui mercati finanziari allo scopo di produrre immediatamente una maggiore quantità di denaro. A questa differenza fondamentale nella formula dell’accumulazione il finanzcapitalismo accompagna una pretesa categorica : si deve ricavare dalla produzione di denaro per mezzo di denaro un reddito decisamente più elevato rispetto alla produzione di denaro per mezzo di merci.

Questa mega-macchina, spiega Gallino, è giunta ad asservire ai propri scopi ogni aspetto come ogni angolo del mondo contemporaneo. Un simile successo non è dovuto a una economia che con le sue innovazioni ha travolto la politica, bensì ad una politica che ha identificato i propri fini con quelli dell’economia finanziaria, adoperandosi con ogni mezzo per favorire la sua scesa. In tal modo la politica ha abdicato al proprio compito storico di incivilire, governando l’economia, la convivenza umana. E non si è limitata a questo. Ha contribuito a trasformare il finanzcapitalismo nel sistema politico dominante a livello mondiale. Dal 1980 in poi l’economia mondiale è stata intensivamente finanziarizzata. In altre parole la produzione di denaro dal nulla per mezzo di denaro, insieme con la creazione di denaro dal nulla per mezzo del debito, hanno preso largamente il sopravvento, quali criteri guida dell’azione economica, rispetto alla produzione di merci per mezzo di merci.

Nel libro si ricostruisce in modo puntuale il processo storico attraverso cui i confini tra politica ed economia sono stati deliberatamente spalancati alla economia proprio dalla classe politica e dalle leggi emanate. Le prime sbarre di confine ad essere alzate di propria iniziativa dalla politica furono quelle che regolavano in qualche modo la libera circolazione dei capitali. Le leggi che hanno liberalizzato i movimenti di capitale nella prima metà degli anni ottanta portano la firma di Margaret Thacher e di Helmut Kohl in Europa. Negli Stati Uniti il Congresso  ha emanato tra il primo mandato di Reagan e il secondo mandato di Clinton una serie copiosa di leggi e normative intese specificamente a togliere ogni vincolo alla circolazione di capitali, all’attività speculativa delle banche e alla connessa produzione di strumenti finanziari sempre più complessi e incontrollabili. In tali interventi politici espressamente de-regolativi dell’economia vanno individuate le premesse operative della crisi economica attuale. Una parte molto interessante del libro di Gallino riguarda l’illustrazione dei “transiti” dalla finanza alla politica e viceversa di tanti illustri personaggi che hanno avuto un ruolo centrale nello sviluppo abnorme del sistema finanziario. In USA come nell’Unione Europea gli intrecci organizzativi, personali e ideologici tra finanza e politica, tra enti che dovrebbero essere regolati ed enti regolatori, tra cariche private e cariche pubbliche, sono stati e sono tuttora così stretti da rendere illusoria l’attesa che anche in presenza di questa crisi la politica possa riprendere una congrua misura di autonomia, se non di potere, rispetto alla finanza.