di Nazzareno Mollicone – Responsabile nazionale dell’Ufficio Politiche previdenziali Ugl

La previdenza complementare in Italia, attuata tramite i contratti nazionali di lavoro, è ormai maggiorenne: nata con una legge del 1993 e regolamentata con un decreto del 2005, entra ormai in una nuova fase della sua attività.

Se n’è discusso all’ultima riunione del Comitato Direttivo dell’Associazione dei Fondi Pensione Negoziali (“Assofondipensione”) – dove l’UGL, che contribuì a costituirla dieci anni fa, è presente con un suo rappresentante quale “Ente promotore” – che ha elaborato un piano di attività per il triennio.  L’Associazione è oggi presieduta dal dott. Giovanni Maggi della Confindustria: segretario generale è il dott. Maurizio Agazzi dirigente del Fondo Cometa.

Nazzareno Mollicone

Nazzareno Mollicone

Nel piano si afferma innanzitutto che “la previdenza complementare in Italia è e resta un supporto essenziale per colmare le difficoltà del primo pilastro…tuttavia, pur se importanti, le dinamiche di adesione sono ancora insufficienti” e spesso in calo a causa delle difficoltà derivanti dalla crisi economica, in particolare dalla crisi del lavoro dipendente con chiusura di aziende ed aumento dei rapporti di lavoro precari od occasionali. Ciò si aggiunge alle difficoltà già preesistenti di associare i lavoratori delle piccole e piccolissime imprese, agli ostacoli posti dalle legislazioni degli ultimi anni (aumento della tassazione sui rendimenti “virtuali” dei fondi, concorrenza incontrollata delle assicurazioni private con i “piani individuali pensionistici”) ed altro ancora.

La situazione

 Ciò nonostante, la previdenza complementare negoziale ha raggiunto livelli di tutto rispetto: al 30 settembre 2016, gli aderenti sono 2.565.000; le risorse accumulate equivalgono a 45 miliardi; il rendimento medio degli investimenti (prevalentemente in titoli di Stato ed obbligazioni garantite) è stato pari al 2,2%, risultato superiore agli altri fondi pensione non negoziali (fondi aperti e PIP) e soprattutto al TFR che, se lasciato in azienda, ha maturato solo l’1%. I fondi negoziali operanti da oltre cinque anni hanno fatto registrare un rendimento medio annuo del 4% circa, nonostante in questo stesso periodo ci siano state importanti crisi bancarie e finanziarie che hanno sconvolto qualsiasi tipo d’investimento.

Da rilevare che il miglior risultato dei rendimenti dei fondi negoziali deriva dal fatto che questi fondi hanno spese di gestione molto basse, anche perché non devono pagare provvigioni ai procacciatori degli aderenti (i quali sono in genere od i sindacalisti presenti nelle aziende o gli stessi datori di lavoro, compartecipi al fondo, mediante i loro uffici del personale), oltre ad un’oculata gestione degli investimenti delle risorse disponibili effettuate dalle “società di gestione del risparmio” in base alle direttive dei consigli di amministrazione dei fondi.

E’ comunque necessario, afferma il comitato direttivo di Assofondipensione nel suo piano di attività, “un serio ed incisivo intervento per il rilancio del settore sia a livello politico che di relazioni industriali allo scopo di apportare al sistema quei correttivi in grado di valorizzare quest’esperienza positiva di welfare di secondo livello, contribuendo ad incrementare l’appeal della previdenza complementare e la fiducia e l’affidabilità nel sistema previdenziale complessivo, anche attraverso il miglioramento delle condizioni di accesso per i lavoratori e delle misure compensative per le aziende”.

Gli interventi richiesti

 Gli interventi richiesti, peraltro già da tempo sottoposti all’attenzione dei precedenti governi che invece hanno voluto sempre favorire le assicurazioni private, sono i seguenti:

  • promuovere un progetto straordinario di educazione previdenziale, relativo sia al primo pilastro – quella pubblica – che al secondo – quella complementare che coinvolga tutte le parti sociali e politiche interessate;
  • sviluppare tale forma di previdenza anche tra i dipendenti della Pubblica Amministrazione, con le misure necessarie (ad esempio, trasferimento del loro TFR al Fondo esistente o da costituire) per assicurare una base economica;
  • migliorare il sistema fiscale sia con l’introduzione della tassazione sui rendimenti “realizzati” sia con ulteriori incentivi per gli iscritti e per le imprese, contributrici al Fondo;
  • completare la razionalizzazione dei fondi pensione esistenti mediante opportuni accorpamenti che li rendano maggiormente efficienti ed efficaci;
  • sostenere con le opportune modalità regolamentari e fiscali le Parti Sociali laddove concordino per le adesioni generalizzate per via contrattuale.

Per molte di queste iniziative sarà importante l’apporto delle Parti Sociali anche tramite le loro organizzazioni strumentali (ad esempio, i CAF).

Gli investimenti nell’economica reale

 Uno dei problemi impellenti della gestione dei Fondi Pensione Negoziali è quello degli investimenti nell’economia reale, ossia nelle aziende. Ciò risponde a due istanze: la prima è quella di avere degli investimenti maggiormente redditizi a seguito della fortissima riduzione dei tassi d’interesse dei titoli del debito pubblico ed anche delle obbligazioni istituzionali garantite. L’altra, è quella di contribuire a sostenere l’apparato produttivo nazionale che spesso si trova in difficoltà per carenza di mezzi finanziari atti a rinnovare gli impianti ed a favorire la commercializzazione dei prodotti, e nel contempo cercare di tutelare – con questo sistema – anche l’occupazione che si trova a rischio. Tuttavia, le normative sugli investimenti dei Fondi Pensione Negoziali hanno finora impedito, o consentito in termini minimali, questo tipo d’investimento. Pertanto, l’Associazione dei Fondi Pensione intende ricercare – d’intesa con le autorità politiche, le Parti Sociali e l’Ente di vigilanza – una soluzione che consenta ai fondi di destinare – liberamente e volontariamente – almeno una parte del risparmio previdenziale al finanziamento dell’economia reale ed allo sviluppo infrastrutturale del Paese (questione, questa, resa urgente ed indilazionabile dopo i tragici eventi sismici e metereologici, in cambio di buoni rendimenti  ed adeguate condizioni di controllo del rischio per gli aderenti.

Fra l’altro, la partecipazione dei Fondi Pensione Negoziali al capitale sociale delle imprese può anche essere considerato un aspetto di quella “democrazia economica societaria” che in Italia, a differenza di altri Paesi, non si è mai realizzata nonostante la previsione dell’art. 46 della Costituzione.

Un programma complesso

Come si può rilevare, questo è un programma complesso ed articolato che richiede innanzitutto una maggiore attenzione da parte delle autorità politiche (cosa che non c’è più stata, dopo la stagione dello sviluppo concordato della previdenza complementare attuato dal Governo Berlusconi tramite i ministri Maroni e Sacconi) ed un impegno attivo da parte delle Parti Sociali. Le quali però devono preoccuparsi di un altro pericolo: quello che non si crei un’ulteriore discriminazione tra lavoratori che usufruiscono del “secondo pilastro” previdenziale e lavoratori che non riescono probabilmente neanche a completare il primo. La massa dei dipendenti delle piccole e medie imprese, oltre a gran parte dei dipendenti della Funzione Pubblica, devono essere condotti in qualche modo entro il sistema della previdenza complementare, per garantire anche a loro una vecchiaia più serena.