Il Jobs Act, la riforma che più di altre caratterizza l’ex governo Renzi, sta collezionando, uno dopo l’altro, una serie di flop, ultimo dei quali è il fallimento dell’opzione del part-time agevolato per chi è alle porte della pensione. Nulla di nuovo o di straordinario per l’Ugl che fin dall’inizio aveva previsto tutti i disastrosi effetti collaterali della riforma.

Ma veniamo ai dati: appena 200 infatti sono state le domande di part-time agevolato accolte dall’Inps dal 2 giugno 2016, data in cui è entrato in vigore il Jobs Act. I dati rivelano che il fallimento della misura è rintracciabile in tutte le regioni d’Italia: 33 le domande accolte in Lombardia, 21 nel Lazio, 1 in Molise, Basilicata e Valle d’Aosta e 5 rispettivamente in Liguria e nelle Marche. Della situazione è ben consapevole l’attuale governo visto che persino il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, ha riconosciuto che la misura non ha dato i risultati sperati e che bisognerà far ricorso a <strumenti diversi>.

Cosa prevede esattamente la norma? La possibilità per le persone che raggiungono 67 anni e sette mesi di età entro il 2018 con almeno 20 anni di contributi, previo accordo con il datore di lavoro, di ridurre l’orario in una misura compresa tra il 40% e il 60%, ma solo nel settore privato. Di fatto l’opzione è preclusa alle donne, dato che chi può usare lo strumento deve essere nato prima del maggio 1952 e le donne nate prima di questa data sono in grandissima maggioranza uscite dal lavoro entro il 2016. Chi sceglie questo strumento riceve ogni mese in busta paga, in aggiunta alla retribuzione per il part time, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per l’orario non lavorato. Per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa, lo Stato riconosce al lavoratore la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo che alla maturazione dell’età pensionabile il lavoratore percepirà l’intero importo della pensione.

Il contratto di part-time agevolato è vantaggioso per i lavoratori vicini alla pensione ma meno conveniente per le aziende che pagano una quota in più rispetto alle ore lavorate. Secondo i calcoli effettuati dai Consulenti del lavoro su classi di retribuzioni annue lorde che vanno dai 25.000 ai 43.000 euro, un lavoratore che firma un contratto di part time agevolato al 40% delle ore (16 a settimana a fronte delle 40 dell’orario intero) ha in busta paga il 72% della retribuzione mentre l’impresa ha una riduzione del costo del lavoro del 49% (a fronte di una riduzione dell’orario del 60%). La contribuzione figurativa, commisurata alla retribuzione corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata, è stata riconosciuta nel limite massimo di 60 milioni di euro per il 2016, 120 milioni per il 2017 e 60 milioni per il 2018, cifre a questo punto, almeno per ora, largamente inutilizzate.

In definitiva il Jobs Act sta mostrando, uno dopo l’altro, tutti i suoi lati deboli, tranne uno, come evidenziato dal segretario generale dell’Ugl, ovvero i licenziamenti. In questa materia certamente al governo non si può imputare di aver fallito.