di Antonella Marano

La guerra in Siria non è finita. E’ da quasi sei anni che va avanti ininterrottamente e che ha causato più di 300.000 vittime e migliaia di profughi. Era per l’esattezza il 2011 (15 marzo) quando la popolazione manifestò contro il regime del presidente Bashar al-Assad. Da quel momento la pace ha lasciato spazio solo al terrore.

Fonte Medici Senza Frontiere

Fonte Medici Senza Frontiere

Il dolore degli innocenti, fino ad oggi, è rimasto imprigionato tra quelle solide ed ingiuste mura di silenzio. La distruzione di abitazioni, scuole ed ospedali, le difficoltà dei medici e dei  volontari perseguitati dalle tensioni di un conflitto così profondo –  fino ad ora – non hanno avuto la risonanza mediatica che meritavano. Eppure quei bambini, quelle donne, quegli uomini hanno occhi e cuore proprio come noi. Soffrono, convivono con il sapore della morte sin dalla nascita. Diversamente da noi sanno cos’è la paura della fuga e il terrore di una vita senza libertà. Per questo motivo, insieme a Francois Dumont, direttore della comunicazione di Medici Senza Frontiere,  ‘La Metasociale’ focalizza l’attenzione sulla guerra in Siria e soprattutto su quanto sia necessario rispondere ad un’emergenza che lede in profondità i diritti umani. Partendo anzitutto dall’importanza dell’accoglienza. Evitare che la fuga dei rifugiati interessi solo, come è accaduto fino ad oggi, le zone a confine come la Turchia e il Libano. Dumont è stato chiaro “L’aiuto in quel territorio può essere concretizzato per bene solo dall’esterno. E’ difficile – visto il forte conflitto tra opposizione e regime – assistere sul posto, ad esempio pur avendo sollecitato più volte non possiamo operare nelle zone gestite direttamente dal Governo siriano e, quindi offriamo assistenza attraverso sei ospedali da campo nel nord del paese, in zone controllate dall’opposizione. Inoltre, supportiamo oltre 150 centri sanitari e ospedali in tutto il paese, di cui molti in aree assediate. I siriani che sia ben chiaro non sono terroristi, ma sono persone ‘terrorizzate dal terrorismo’ proprio quanto noi. Chiedono anche loro la libertà di vivere”.

Dumont, cosa sta succedendo ora ad Aleppo.

Sono ancora in corso le operazioni di evacuazione della popolazione civile. Molti – dalle notizie che ci giungono – sono ancora intrappolati nella città di Aleppo Est  – sono migliaia i feriti che necessitano di cure urgenti. Le evacuazioni sono state interrotte continuamente per via dell’insanabile spaccatura che continua a persistere tra opposizione e governo. L’auspicio è di riuscire a terminare in questi giorni le operazioni e di poter salvare il maggior numero possibile di civili”.

Come si possono aiutare queste popolazioni?

“Bisogna parlare della Siria, mobilitarsi o semplicemente indignarsi. Sentirsi impotenti di fronte a tanto orrore è comprensibile ma restare indifferenti  ‘gioca’ solo a favore di questa assurda guerra. Una guerra che continua a rincorrere e distruggere sogni e certezze di tante, troppe, vite umane. E’ importante non cadere nella trappola che certi politici ci vogliono fare credere che ogni rifugiato possa essere un potenziale terrorista. Questa gente è semplicemente terrorizzata, devastata dalla paura di morire ingiustamente. Sono esse stesse vittime di quel male profondo al quale ci stiamo opponendo con forza in tutta Europa. Ma una cosa va sottolineata: il fallimento dell’Onu e della comunità internazionale nel proteggere le popolazioni civili intrappolate in una guerra terribile. Le difficoltà qui sono tante a partire proprio dalle cure destinate non solo ai feriti, ai malati, ma a tutti coloro che hanno bisogno quotidianamente di assistenza medica continua, di medicinali e di visite specialistiche. Si pensi ad un malato di tumore o a chi anche per un diabete o per lievi fratture rischia gravi infezioni o addirittura la morte. E’ inaccettabile tutto questo. Compito di tutti i paesi occidentali è quello di dare un segnale forte, dichiarandosi pronti ad accogliere, con molta più generosità di quanto fatto finora, i siriani di cui oggi piangono la sorte ad Aleppo.

Al momento ci sono quasi 5 milioni rifugiati siriani, la maggior parte in Turchia e Libano.

Quali sono le difficoltà con le quali convive quotidianamente un’Organizzazione umanitaria come Medici senza Frontiere?

Come ho già anticipato, la spaccatura tra Governo ed opposizione ostacola – e non poco – le stesse organizzazioni umanitarie nelle azioni di soccorso ed assistenza continua. I nostri volontari hanno difficoltà di accesso in molte zone coordinate dal governo, nonostante la nostra sia un’assistenza sanitaria imparziale, senza discriminazioni. Secondo la legge antiterrorista siriana, curare un ferito nelle zone controllate dall’opposizione, come quella di Idlib, può ufficialmente essere qualificato come un crimine, punibile come azione di supporto materiale al terrorismo. Per questo motivo molti bombardamenti sono diretti proprio a strutture mediche. L’accesso in tutti i governatorati è impossibile e, quando non possiamo operare direttamente, supportiamo dall’esterno i medici siriani.

Dobbiamo ammirare il coraggio e la dedizione di questi uomini che continuano a lavorare nel mezzo di un conflitto in cui gli ospedali vengono colpiti regolarmente e sentiamo con forza il dovere di supportarli nel loro lavoro quotidiano per salvare vite umane. Ogni volta che un ospedale viene distrutto, in modo mirato o in attacchi indiscriminati contro le aree civili, molti altri siriani vengono privati di una cruciale ancora di salvezza per ricevere cure mediche e sopravvivere. Alcuni ospedali forniscono cure di prima linea ai feriti di guerra, altri forniscono cure di prima linea a donne con gravidanze difficili. Tutti sono fondamentali per salvare vite umane”.

Vuole lanciare un appello?

 “Ribadiamo il nostro appello urgente a tutti coloro che possono influenzare la condotta della guerra in Siria, tra cui i 4 membri su 5 del Consiglio permanente di Sicurezza delle Nazioni Unite che partecipano al conflitto, perché si adoperino con urgenza per fermare gli attacchi contro gli ospedali durante i combattimenti. Come organizzazione medico-umanitaria, continueremo a fare tutto il possibile per aumentare la capacità di offrire cure mediche in Siria, ma gli attacchi contro gli ospedali devono cessare immediatamente”.

Medici senza Frontiere che proprio ieri ha compiuto quarantacinque anni di assistenza, testimonianza e contatto diretto nel campo umanitario, gestisce sei strutture mediche nel nord della Siria e fornisce supporto a circa 150 altre strutture nelle aree che l’organizzazione non può raggiungere direttamente. Tra le azioni di supporto, MSF offre forniture mediche, paga salari di base allo staff degli ospedali per consentire loro di dedicarsi al loro lavoro, fornisce carburante per garantire il funzionamento dei generatori, contribuisce ai costi per la ricostruzione quando una struttura viene danneggiata o distrutta e fornisce consulenza tecnica. Circa 70 strutture siriane ricevono questo pacchetto complessivo di aiuti, e circa 80 altre strutture vengono supportate in modo meno regolare, attraverso donazioni di forniture mediche e consulenze tecniche quando necessario, per esempio in caso di grossi afflussi di feriti.

Francois Dumont, direttore comunicazione di MSF

Francois Dumont, direttore comunicazione di MSF

“La Siria ha bisogno di un intervento massiccio a livello umanitario. Chiediamo a tutte le parti in conflitto di rispettare il proprio dovere di proteggere i civili, sia nelle aree assediate sia nelle aree riprese dal governo siriano. 

In un conflitto caratterizzato da orribili atrocità contro i civili, come recentemente dichiarato anche dalle Nazioni Unite, siamo estremamente preoccupati per il destino della popolazione. In questa circostanza hanno fallito tutti:  Nessuno è stato in grado di proteggere la popolazione civile ed evitare che gli ospedali venissero bombardati. Ad esempio, ad Aleppo Est sono stati distrutti ben 35 ospedali.

Questa è una delle peggiori crisi che MSF abbia testimoniato negli ultimi anni. Ricordiamo a tutte le parti in conflitto che anche la guerra ha delle regole. È fondamentale che tutte le parti consentano alle persone di fuggire per trovare sicurezza, permettano l’evacuazione dei malati e dei feriti e facilitino la possibilità di fornire protezione e assistenza umanitaria alle persone intrappolate dalle linee del fronte”.

C’è un racconto o una testimonianza che l’ha colpita profondamente durante la sua esperienza lavorativa (anche oltre Aleppo)?

Ogni giorno i medici siriani lottano per la vita di tutti, in profonde circostanze di morte. Convivere con il terrore di essere bombardati non è semplice e nel momento in cui accade è difficile soccorrere chi ne ha bisogno se mancano posti letto per interventi urgenti o addirittura ambulanze per permettere il trasporto in ospedale. Si lavora, si combatte e allo stesso tempo ogni giorno si cerca di vincere la sfida più importante: aiutare i siriani a vivere. Non esistono oggi storie da raccontare: ogni giorno donne, bambini, uomini testimoniano il loro coraggio ed il loro attaccamento ad una vita che li ha messi da subito alla prova.

Una giovane mamma siriana ha dovuto lasciare il suo bimbo in ospedale  – perché nato prematuro – ed ha detto hai medici: “L’ho messo al mondo per fargli vivere una vita come questa?”.  Come biasimarla, ma noi tutti abbiamo il dovere di riaccendere quel barlume di speranza e dare la possibilità a tante vite di riscattarsi”.