La tempesta sismica (5 terremoti in 67 giorni) ha travolto 100 Comuni, ha lasciato senza un tetto sotto cui dormire circa 40mila persone (ma la previsione del numero degli sfollati sembra sfiorare i 100mila). La paura è tanta, anche per chi ha la casa ancora agibile e vede quelle mura domestiche come una trappola. Interi paesi divorati da polvere e macerie: Ussita, Norcia, Castelluccio e altri centri della Valnernina già profondamente segnati dalla furia di uno sciame sismico che davvero non vuole dar tregua. E poi c’è la ferita ‘al cuore’ del Monte Vettore, anche la sua imponenza è stata piegata dalla forza incontrastata del terremoto.

L’immagine dell’Italia in queste ore, anzi dallo scorso 24 agosto, è di profonda tristezza. Anche il solo provare a rialzarsi risulta complesso. Ogni volta che si riaccende una speranza ricade l’incubo nell’area del cratere. E quello che è accaduto alle 7.40 di ieri mattina è la prova tangibile della fragilità umana. Al cospetto del ‘contagio sismico’ – così definito dagli esperti – che si cela in quella falda così profonda che ha segnato l’Appennino centrale – non siamo nulla. A raccontare a La Metasociale questi momenti di profondo dolore e di agonizzante attesa è Salvatore Zizzi, sindacalista Ugl, che sta vivendo sulla sua pelle questo momento drammatico. “L’unica forza è quella di avere la famiglia accanto. Siamo stati fortunati almeno per questo – spiega Zizzi – le precedenti scosse hanno permesso a tutti noi di evitare almeno la morte”.

La nostra più grande paura è che non sia finita qui. Quando cala la notte, i battiti del cuore si accelerano dalla paura. E’ dal 24 agosto scorso che non chiudo occhi e l’ultima forte scossa di ieri ci ha letteralmente devastato. La nostra vita è diventata un incubo e, davvero, l’unica cosa che ci rincuora è sentire l’affetto delle nostre famiglie e di tutti coloro che, in queste ore, hanno realizzato attorno al Centro Italia una solida catena di solidarietà”.

Salvatore vive a San Severino Marche a circa 50 km dall’Appennino umbro-marchigiano, la zona rossa da cui si sta estendendo il “contagio sismico”.

“Da giovedì sera – racconta a La Metasociale – insieme alla mia famiglia avevamo deciso di dormire in furgone, eravamo spaventati. Sabato sera, però, (alla vigilia della tremenda scossa) abbiamo deciso di tonare a casa. Pensavamo che tutto fosse ritornato alla normalità. Poi, ieri mattina il panico. Alle 7.40 un’altra scossa, rispetto alle precedenti molto più forte. Devastante. Sentivamo gente che urlava, che piangeva, non riuscivamo ad uscire di casa. Ad un certo punto, non so nemmeno io come insieme a mia moglie e mio figlio, ci siamo trovati fuori. In queste ore i tecnici stanno eseguendo i sopralluoghi sulle case danneggiate dal sisma, tra un po’ saranno anche da me. Ma anche se la mia abitazione risultasse agibile chi ci assicura che un’altra scossa non possa essere più letale della precedente? Non ci fidiamo e, credo, che resteremo a dormire all’aperto. Ci sentiamo più sicuri fuori anche se ci rendiamo conto che questa non è vita”.

Salvatore trattiene il respiro durante il colloquio telefonico, è come se volesse darsi forza o volesse trattenere le lacrime.

Fatalità ha voluto che il cambio dall’ora legale a quella solare ha permesso di evitare il peggio. I vigili del fuoco avevano dato appuntamento alle ore 8 ieri mattina, in piazza, a tutti coloro che volessero essere accompagnati a casa, per recuperare (muniti di elmetti e altri tipi di protezione) gli effetti personali. Ebbene, nessuno ha potuto rispettare (fortunatamente) quell’appuntamento perché il destino ha voluto che, a quell’ora nessuno fosse in casa”.

Cosa resta di San Severino?

“Polvere e macerie. Strade bloccate, frazioni isolate. E’ un inferno. Immagino Norcia e gli altri comuni che hanno subìto con maggiore violenza il sisma. Il mio pensiero va a loro. L’unica fortuna che ci accomuna è il fatto di poter parlare delle nostre paure. Siamo vivi e questa, al momento, è una grande forza per tutti noi”.

Poi Salvatore aggiunge “oggi comunque ognuno di noi ha perso un pezzo importante della propria vita. Non avere più una casa alla quale hai dedicato, vita, lavoro e sacrifici, è una grande perdita. Ringraziamo la catena di solidarietà che in queste ore si stringe intorno a tutti noi. Il mio sindacato ha dimostrato vicinanza e presenza concreta. Non avevo dubbi sulla bontà d’animo degli italiani e ora lo stanno dimostrando. Grazie ai tanti volontari che, dal 24 agosto, non hanno lasciato le nostre zone mai da sole”.

Questa, purtroppo, non è la tua prima esperienza diretta con il terremoto

Sì, ho vissuto il sisma del 23 novembre del 1980 in Irpinia. In quegli anni svolgevo il servizio militare presso Centro di addestramento paracadutisti a Pisa ed ero stato inviato a Sant’Angelo dei Lombardi per prestare soccorso. Aiutare i sopravvissuti è stata un’impresa. Quello che i miei occhi hanno visto in quei giorni è indescrivibile: sotto montagne di polvere e macerie c’erano tanti corpi senza vita , non c’era più speranza. Di quei giorni ricordo i continui lamenti, i pianti e la disperazione. Ho vissuto poi il terribile terremoto del 26 settembre del 1997 dell’Umbria e delle Marche. In quella giornata di 19 anni fa il sisma diede anche un durissimo colpo al patrimonio artistico e archeologico come lo è stato anche in queste ore per la nostra storia (simbolo della tragica giornata di ieri la Basilica di San Bendetto a Norcia). Siamo tristi e, sopratutto stanchi, perché di fronte a tanto dolore non abbiamo le capacità e la forza di reagire”.