Il CESE, organo della UE che riunisce le parti sociali dei Paesi membri, di cui fa parte in rappresentanza della UGL il Consigliere Stefano Cetica, si occupa di fornire pareri alle Istituzioni della UE sui più importanti argomenti economici e sociali di pertinenza europea, ponendo così all’attenzione dell’Europa le osservazioni e le richieste del mondo del lavoro.

L’8 settembre 2016 la Commissione Economia del CESE, con 83 voti favorevoli e nessun contrario, ha adottato un significativo parere di iniziativa “Nuove misure per una Governance e un’attuazione orientate allo sviluppo”. Il testo è stato redatto da un Gruppo di Lavoro di cui ha fatto parte il Consigliere UGL  Stefano Cetica, che ha in merito dichiarato: “Si tratta di un parere importante che in qualche modo smonta i cardini dell’attuale impostazione politica ed economica europea criticando apertamente le politiche di austerità imposta anche ai paesi con un forte debito pubblico da Bruxelles. Si chiedono strumenti di gestione e di decisione più democratici ed il  coinvolgimento delle parti sociali nonché l’individuazione di parametri di valutazione diversi dal PIL come da sempre chiede anche l’UGL. Considerato che questi pareri vengono elaborati nell’ambito di assemblee e gruppi di lavoro nei quali sono presenti istanze politiche ed interessi economici a volte molto distanti tra di loro, ritengo che le indicazioni emerse – a partire dal rafforzamento del piano Junker – rappresenti un buon punto di sintesi ed una indicazione forte per un cambiamento radicale delle politiche europee”.

Di seguito il testo del Parere

ECO/400 Nuove misure per una Governance e un’attuazione orientate allo sviluppo

A giudizio del CESE vi è necessità di una governance europea coordinata e orientata allo sviluppo, il cui obiettivo sia contribuire alla costimg_0220ruzione di un’Europa rinnovata, forte e pacifica. Occorre rafforzare il coordinamento, anche attraverso una nuova forma organizzativa della governance. Bisogna rilanciare, mediante fasi coordinate, lo sviluppo dinamico dell’economia, e rafforzare le fondamenta del benessere sociale e della democrazia, la coesistenza tra le diverse culture e un rispetto esemplare per l’ambiente. Il CESE sottolinea che l’obiettivo di un’applicazione coerente del principio di partenariato è quello di promuovere la partecipazione dei soggetti interessati alla pianificazione e alla realizzazione degli investimenti finanziati con fondi europei. Ciò rafforza l’impegno collettivo per gli investimenti, estende il coinvolgimento di competenze, rende più efficace l’esecuzione dei progetti, accresce la trasparenza e contribuisce a prevenire frodi e abusi.

Servono un sistema di obiettivi e una strategia semplici e comprensibili e un piano unitario per l’Europa (Strategia UE 2030-2050). Va ribadito che uno dei principali obiettivi strategici dell’UE continua ad essere la realizzazione di un’Unione europea innovativa, sostenibile e inclusiva. A tal fine occorre integrare nel piano anche gli obiettivi della COP 21 (obiettivi di sviluppo sostenibile). Sono necessari programmi di sviluppo maggiormente coordinati. La definizione dei programmi e degli strumenti di sviluppo a breve, medio e lungo termine deve fondarsi su una serie di obiettivi sintetici. Tra gli strumenti vanno considerati anche quelli politici, giuridici, organizzativi e finanziari. Ai fini di un miglior coordinamento, il CESE raccomanda di mettere al servizio degli obiettivi comuni europei sia il ricorso ai tradizionali fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE), sia i progetti, orientati al mercato e in grado di mobilitare anche il capitale privato, del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS). In quest’ottica bisogna allineare gli obiettivi e le regole per la loro attuazione.

Il CESE raccomanda che il primo e fondamentale strumento della governance centrale rafforzata orientata allo sviluppo sia il semestre europeo, basato sull’analisi annuale della crescita, che dovrebbe dotarsi dei mezzi per esercitare un’influenza costante e rivolgere un’attenzione continua nei confronti dell’avanzamento del piano per l’Europa. Il semestre europeo può quindi svolgere al tempo stesso le funzioni dei sistemi volti a creare un ambiente sociale che garantisca il benessere.

La valutazione dell’efficacia della governance orientata allo sviluppo potrebbe basarsi, oltre che sull’indicatore prevalentemente economico già in uso, vale a dire il PIL, anche su quello, complementare, del risultato interno lordo (Gross Domestic Result), che include la sostenibilità e comprende soprattutto fattori sociali e ambientali. Bisogna creare un forte coordinamento e un metodo aperto di cooperazione (Open Method of Cooperation) con gli Stati membri. Occorre adattare l’esperienza acquisita finora nei processi di sviluppo. È necessario rafforzare gli strumenti giuridici e finanziari. I risultati della governance orientata allo sviluppo dipendono da un’economia dinamica, da un aumento del capitale investito, da un regime di investimenti più efficiente, da una forza lavoro più qualificata e da imprese maggiormente innovative. Più a lungo termine, tuttavia, il suo principale obiettivo è una società rinnovata, la creazione di prosperità e la garanzia di un ambiente risanato e sostenibile.

È necessaria un’attuazione multilivello condivisa. Parallelamente alla riforma in corso (programma REFIT), occorre elaborare anche gli strumenti giuridico-amministrativi di una governance orientata allo sviluppo. In tale contesto bisogna rafforzare in misura significativa gli strumenti di livello intermedio, ossia quelli destinati al coordinamento degli sviluppi macroregionali; inoltre, nell’orizzonte temporale del piano per l’Europa acquisisce una notevole importanza il ruolo delle regioni funzionali, delle città, delle aree urbane, degli agglomerati, delle aree metropolitane e delle reti. La continuità è un fattore essenziale per una governance orientata allo sviluppo a lungo termine. Occorre coordinare i quadri dei diversi cicli delle politiche, dei processi di programmazione e di sviluppo e degli orizzonti temporali di bilancio. L’attività di sviluppo presuppone l’analisi continua, la verifica e la correzione.

È particolarmente importante informare dettagliatamente e coinvolgere i cittadini, sviluppare la comunicazione e il “marketing” delle politiche e presentare correttamente i risultati effettivi raggiunti e i punti deboli. Il CESE ha costantemente sostenuto che bisogna rafforzare la partecipazione democratica. Nel metodo aperto di cooperazione occorre garantire a tutti i livelli la partecipazione dei partner economici e sociali e delle organizzazioni non governative, cosa che, in ambito europeo, deve andare di pari passo con la valorizzazione del ruolo del CESE. Come già segnalato in un parere del 2012, il CESE sostiene l’elaborazione, su iniziativa della Commissione europea, di un codice di condotta europeo sul partenariato (CCEP), inteso a fornire agli Stati membri un quadro relativo al partenariato nella pianificazione e nell’attuazione. La concezione dell’Europa adottata dai vari partner contribuirà alla definizione degli obiettivi e all’identificazione con essi, oltre a promuovere un’attuazione più efficace dei progetti.

Il CESE sottolinea che bisogna superare la regolamentazione del partenariato basata sulle proposte e sulle buone pratiche, e precisare ampiamente i requisiti minimi che le autorità degli Stati membri dovranno soddisfare per non incorrere in sanzioni. Il CESE raccomanda che gli Stati membri siano tenuti a istituire efficaci sistemi di finanziamento intesi a sviluppare le capacità dei partner. Tali sistemi devono andare oltre le mere iniziative di formazione e di trasferimento di informazioni, ed estendersi anche allo sviluppo di reti di partenariato e alla creazione di strumenti di partecipazione effettiva. Il CESE invita con insistenza la Commissione a intensificare la cooperazione con le reti di partenariato a livello europeo. Occorre che la Commissione predisponga un sistema di finanziamento che contribuisca al lavoro delle reti europee di ONG attive nella politica regionale, in particolare per quanto riguarda il controllo dei processi nazionali e la garanzia di un riscontro.

Per un’Europa rinnovata e forte. Contesto attuale e motivazioni

L’Unione europea è solida, ma deve tuttora far fronte a una crisi multiforme, che si ripresenta a più riprese, come dimostra chiaramente la Brexit. La crisi economica del 2008 ha segnato la fine dell’euforia che aveva accompagnato l’allargamento all’inizio degli anni 2000, e invertito il processo di convergenza in numerosi paesi. La crisi economica e la diminuzione degli investimenti che ne è derivata hanno incrinato l’unità degli Stati membri basata sulla crescita e causato crescenti tensioni politiche, economiche e sociali. Malgrado l’obiettivo fondamentale dell’UE, il divario di sviluppo tra Stati membri aumenta.

L’imposizione di severe politiche di austerità ai paesi che hanno un disavanzo esterno, un debito pubblico e un deficit di bilancio eccessivi non fa altro che accrescere il divario tra i paesi più sviluppati e quelli assoggettati all’austerità. Sono necessarie politiche nuove per coniugare la crescita economica e il contenimento del deficit di bilancio, insieme a politiche efficienti di inclusione sociale. La povertà, la precarietà del lavoro e la disoccupazione hanno toccato livelli inaccettabili. La mancanza di prospettive per i giovani rappresenta un serio ostacolo per il rinnovamento futuro dell’Europa.

L’UE ha perso la sua attrattiva per gli investimenti e sembra anzi contraddistinguersi per una certa farraginosità. In quanto destinazione di investimenti produttivi l’Unione come blocco sta perdendo terreno rispetto agli Stati Uniti ma anche ad alcuni suoi Stati membri, ad esempio Germania e Regno Unito. I paesi in ritardo frenano quelli più dinamici. L’esigenza di reciproca interdipendenza si riduce. In alcuni paesi, nonostante la significativa eccedenza di bilancio, il calo degli investimenti produttivi approfondisce il divario, accrescendo tra l’altro il distacco delle regioni più povere. La risposta a queste difficoltà è lenta e burocratica. In un contesto dominato dal terrorismo e dalla crisi migratoria, conquiste fondamentali come l’area dell’euro o lo spazio Schengen appaiono oggi come fattori di divisione, e non già come elementi di coesione. In vari paesi l’UE viene strumentalizzata per dispute politiche interne.

I livelli di sviluppo delle regioni non convergono. Il rapporto tra la regione più sviluppata e quella meno sviluppata, misurato in termini di PIL, è pari a 14: 1. Alcuni paesi che beneficiano di un particolare sostegno utilizzano i fondi europei loro destinati al posto degli strumenti e dei meccanismi di investimento nazionali, dal momento che i contributi nazionali si sono ridotti al minimo, ben al di sotto degli obiettivi iniziali. I comitati per la competitività, istituiti di recente, possono dare un importante contributo, con i loro strumenti, a ravvicinare il livello di sviluppo delle diverse regioni.

I cittadini e gli operatori economici, sociali e delle ONG d’Europa non hanno più prospettive e si sono estraniati dal processo politico, ripiegandosi sempre più in sé stessi. Essi vedono l’Unione europea come un’istituzione rigida e inflessibile, incapace di rinnovarsi. L’UE, soprattutto a causa dei suoi risultati insufficienti e della debolezza del suo sistema istituzionale per lo sviluppo, non è in grado di mobilitare mezzi adeguati per il raggiungimento dei suoi obiettivi, peraltro frammentari. Mancano una visione del futuro, una volontà politica e una capacità di governance unitarie. Il metodo di coordinamento è insufficiente e obsoleto, gli strumenti giuridici sono inefficaci o difficili da utilizzare, la partecipazione delle organizzazioni e il sostegno sociale – tra l’altro a causa di una comunicazione inadeguata – sono deboli. La strategia di sviluppo a lungo termine dell’UE per il periodo fino al 2020 non è più abbastanza lungimirante né realistica, e risulta per di più frammentata e inadeguata a orientare i processi nell’ambito dei quadri metodologici attuali. Nel frattempo sono stati adottati i 17 obiettivi fondamentali della COP 21 relativi alla sostenibilità dello sviluppo, alla luce dei quali la Commissione europea ha avviato, nel quadro di una strategia complessa e a più lungo termine, il riesame del sistema e degli strumenti di governance.

Nuove vie

In questo contesto, la nuova Commissione europea, sostenuta dal Parlamento europeo, ha annunciato un nuovo modello di sviluppo economico. Gli obiettivi stabiliti – stimolare l’occupazione e la crescita, attuare il mercato unico europeo, semplificare il sistema di regolamentazione economica, consolidare gli sviluppi comunitari più urgenti, il mercato dell’energia, sostenere gli investimenti destinati al mercato e ai servizi digitali, gestire in via prioritaria le reti immateriali e fisiche per collegare l’Europa, rafforzare la responsabilità legata ai fattori ambientali – possono apportare un’importante nuova dinamica per l’economia.

Il semestre europeo e le sue componenti costituiscono un sistema che va al di là della governance economica. Gli obiettivi sociali e ambientali a lungo termine dovrebbero avere un ruolo più rilevante nel meccanismo del semestre europeo. Trattato come un obiettivo prioritario, il programma inteso a rafforzare pienamente il sistema finanziario dell’area dell’euro è da un lato inadeguato, dall’altro alimenta il reale timore di un approfondimento delle fratture tra i paesi europei. Degli obiettivi di sviluppo a livello europeo potrebbero ridurre l’irrigidimento dell’Europa a due velocità.

Attualmente i processi di sviluppo sono determinati da due grandi serie di strumenti economici e finanziari, accompagnate dalle rispettive procedure. Occorre rafforzare la loro complementarità, già in fase di coordinamento degli obiettivi. La prima serie è quella dei tradizionali fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE), previsti anche dai trattati dell’UE e finalizzati alla coesione sociale, economica e territoriale. Essi vengono ammodernati di continuo, ma il loro carattere è immutato: si tratta infatti di aiuti all’investimento e allo sviluppo, che derivano dalla ridistribuzione del bilancio dell’UE preveniente a sua volta dai contributi degli Stati membri. In un certo numero di casi questi fondi non sono valutati adeguatamente dai loro destinatari, in base all’argomento che essi “spettano” loro. Al momento della revisione “intermedia” relativa al periodo fino al 2020, è indispensabile introdurre nuove norme al fine di garantire la summenzionata complementarità.

La seconda serie di strumenti è quella del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS). Destinato ad attuare il cosiddetto “piano Juncker”, il FEIS rappresenta un nuovo strumento finanziario orientato al mercato, in grado di consentire la copertura di rischi e di mobilitare risorse pubbliche, bancarie e private, e il cui ammontare complessivo può essere aumentato. Il meccanismo di gestione istituito dovrebbe diventare un elemento costitutivo della governance orientata allo sviluppo. Anche a livello dei singoli Stati membri occorre coordinare questi due differenti sistemi di finanziamento. In confronto a questi sistemi di finanziamento, gli altri strumenti finanziari che operano con successo sono diversificati, adattati al compito loro assegnato, ma di dimensioni minori e destinati specificamente a determinati obiettivi. I quadri del piano per l’Europa possono essere occasione di un coordinamento forte e sistematico.

Gli obiettivi, poco numerosi ma non collegati tra loro, della strategia Europa 2020, destinata a migliorare il coordinamento, non hanno beneficiato finora dei mezzi diretti che ne avrebbero potuto favorire la realizzazione. Senza tali risorse, tuttavia, non è certo che si possa garantire adeguatamente il coordinamento dello sviluppo dell’UE. Il nuovo piano per il periodo successivo al 2020 deve quindi avere tra i suoi compiti la pianificazione dell’interazione tra i vari strumenti.

Gli 11 obiettivi tematici del quadro finanziario pluriennale, che regola l’applicazione dei fondi SIE, e i 10 obiettivi principali del piano Juncker, solo vagamente sovrapponibili ai precedenti, e le loro rispettive regolamentazioni finanziarie e giuridiche dovrebbero adesso essere al servizio dell’attuazione della strategia Europa 2020. A ciò si aggiungono i 17 criteri di riferimento in materia di sostenibilità della COP 21, destinati a indicare il percorso futuro in questo campo. Il processo di programmazione per il periodo successivo al 2020 dev’essere caratterizzato da una serie limitata di obiettivi comprensibili, ricavati da finalità sintetiche.

A tutt’oggi i meccanismi divergenti connessi agli obiettivi, come pure le loro scadenze iniziali e finali e le loro tempistiche differenti fanno sì che nessuno di tali obiettivi sia del tutto trasparente, e che essi risultino poco comprensibili e difficili da seguire per gli ambienti socioeconomici e la società civile. La mancanza di sinergie o di interazioni tra i singoli obiettivi riduce significativamente l’efficacia degli strumenti e degli investimenti. Bisogna rafforzare le sinergie tra il FEIS e la strategia Europa 2020 rinnovata con l’elaborazione di una nuova strategia UE 2030-2050 (piano per l’Europa).

Mentre i fondi strutturali dispongono di un meccanismo fortemente burocratico, centralizzato e al tempo stesso decentrato, di preparazione, esecuzione, verifica e analisi, e mentre a livello dell’UE un gran numero di agenzie contribuisce a sostenerne l’applicazione, il meccanismo di gestione creato di recente per il nuovo FEIS si distanzia finora dal quadro della Commissione europea, e la sua nuova struttura organizzativa viene plasmata in funzione delle esigenze dell’ambiente finanziario e di investimento. Il coordinamento delle due grandi strutture sopra descritte presuppone uno strumento strategico e un nuovo sistema di governante.

La creazione di un nuovo sistema di governance orientata allo sviluppo può portare a un coordinamento rafforzato e una cooperazione aperta tra i partner interessati.  Per accrescere l’efficacia e l’efficienza dei Fondi SIE occorre rafforzare il sistema istituzionale del partenariato, che dev’essere esteso, attraverso i diritti di partecipazione pubblica, a ogni cittadino europeo. I cittadini europei dovrebbero poter avere accesso alle informazioni e partecipare alle decisioni di pianificazione e di attuazione. Essi dovrebbero anche essere in grado di esprimere il loro parere in merito ai progetti di programmi, di bandi di gara e di relazioni di valutazione.

Il rafforzamento del partenariato

Il Comitato ha già trattato il principio di partenariato e avanzato proposte dettagliate al riguardo in vari pareri.  In un parere adottato nel 2010 il CESE osservava che i regolamenti in vigore lasciavano ancora troppo spazio ad interpretazioni a livello nazionale del concetto di partenariato e che pertanto la Commissione, in qualità di garante del principio di partenariato, doveva svolgere un ruolo più incisivo e molto più proattivo. Il CESE considerava fondamentale che in tutti i programmi operativi le risorse destinate all’assistenza tecnica dovessero essere riservate ai partner, al fine di potenziare le loro capacità. Auspicava inoltre un ritorno a programmi d’iniziativa comunitaria aventi come obiettivo l’innovazione sociale e lo sviluppo locale.

In un parere del 2012, il CESE ha appoggiato l’iniziativa della Commissione di istituire un codice di condotta in materia di partenariato. Ha segnalato la preoccupazione della società civile organizzata per la mancata attuazione del principio di partenariato. Ha proposto di creare un sistema di controllo del partenariato, gestito dagli stessi partner. Ha chiesto che una corretta applicazione del codice di condotta costituisse una condizione preliminare per la conclusione di contratti di partenariato con gli Stati membri, e che le risorse assegnate ai programmi operativi fossero integrate con incentivi finanziari. Ha ribadito le sue raccomandazioni sullo sviluppo delle capacità dei partner.

La normativa sulla politica di coesione prevede l’elaborazione di un codice di condotta europeo sul partenariato contenente principi guida e buone pratiche.  Le esperienze maturate con l’attuazione di tale codice di condotta mostrano che alcuni paesi l’hanno applicato solo formalmente nei processi nazionali di programmazione e nella trasformazione della struttura istituzionale di attuazione dei fondi SIE.  In vari paesi i partner non hanno avuto tempo sufficiente per esprimersi in merito ai  documenti pertinenti. Essi non sono stati coinvolti nel merito delle principali decisioni strategiche, quali quelle sulla definizione delle priorità e sulle dotazioni finanziarie. Non sono stati introdotti speciali metodi e strumenti di comunicazione e partecipazione volti a incoraggiare la partecipazione attiva.  Le analisi realizzate da alcune ONG hanno mostrato che, in vari paesi, sebbene la scelta dei partner presenti nei comitati di sorveglianza sia stata formalmente regolare, la copertura tematica e la rappresentatività non sono sempre state garantite. Lo scambio di informazioni tra le autorità di gestione e i membri dei comitati di sorveglianza è inadeguato.

Le autorità competenti per le questioni orizzontali, come ad esempio i ministeri dell’Ambiente, non sono state rappresentate in tutta una serie di importanti comitati di sorveglianza. Le autorità di gestione non si sforzano di coinvolgere i partner della società civile che rappresentano i principi orizzontali nella pianificazione delle gare d’appalto e nella valutazione delle proposte di progetti.  In alcuni paesi gli interventi di sviluppo delle capacità dei partner sono insufficienti: si limitano per lo più alle formazioni e al rimborso delle spese di viaggio, mentre non vengono attuate varie proposte del codice di condotta europeo sul partenariato, tra cui il collegamento in rete e il coordinamento, nonché la copertura delle spese per gli esperti necessarie a garantire la partecipazione effettiva di importanti partner.

La Commissione europea e gli Stati membri non hanno dedicato sufficiente attenzione all’utilizzazione dello strumento dello sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) nella prima metà del periodo di bilancio.  Il CESE ritiene necessario un esame completo delle pratiche di partenariato. Tale esame deve comprendere una valutazione dell’attuazione delle procedure di pianificazione e della struttura istituzionale di attuazione, e valutare in che misura l’attuale sistema normativo sia in grado di condurre a un partenariato efficiente. Occorre coinvolgere attivamente i partner nel processo di valutazione.