di Marco Colonna

 

Ecco servito l’ultimo regalo del governo Renzi alle banche: le pensioni a prestito”. Ovvero, la possibilità offerta ai lavoratori di andare in pensione fino a tre anni prima del previsto ricorrendo a un prestito bancario, una sorta di mini mutuo, che dovrà essere restituito con gli interessi.

La chiamano flessibilità in uscita dal mondo del lavoro, ma si legge meglio: “ennesima possibilità di investire e fare cassa per gli istituti bancari”, come ha candidamente ammesso il sottosegretario, Tommaso Nannicini, a SkyTg24 , quando ancora il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, minimizzava la proposta per spegnere sul nascere le polemiche. Il senso dell’idea renziana è proprio questo: spingere alcune tipologie di lavoratori: dai disoccupati ai casi di turn over, dagli esodati ai licenziati ultra cinquantenni, a uscire anticipatamente dal mondo del lavoro ricorrendo a un prestito bancario! “A tassi calmierati” promette l’esecutivo Renzi per voce di Nannicini. Ma si tratta pur sempre di: esborso accessorio per il contribuente e ricorso al mondo privato della finanza e del capitale , laddove chi  governa (come Renzi) non è in grado di garantire un welfare virtuoso per tutti e pretende di far quadrare i conti ad impatto zero per la finanza pubblica  facendoli pesare sulle categorie più deboli: disoccupati e pensionati, chiamati all’ennesimo esborso, all’ennesimo sacrificio. Per le banche sarebbe comunque un prestito profittevole, con il governo che pensa a un alleggerimento dell’aliquota della tassazione dall’attuale 20% verso un comunque elevato 11-15 per cento, e la restituzione del prestito che avverrà in 20 anni con una rata sicura (!) sull’assegno mensile.

Per confondere le acque Renzi ha coniato un nuovo acronimo presto a prestito dall’ entomologia: Ape… Anticipo pensionistico , e dovrebbe trovare posto nella prossima Legge di Stabilità 2017, così da prendere avvio in forma sperimentale nello stesso anno , coinvolgendo gli over 63 e a seguire nel 2018 e negli anni seguenti i nati del 1954 , 1955 e progressivi. Per discuterne il 14 giugno si sono incontrati governo e parti sociali e dopo attenta analisi si ritroveranno nell’ incontro già previsto in agenda il prossimo 23 giugno. Ma le informazioni sulla riforma previdenziale e l’ipotesi del prestito pensionistico sono più che sufficienti per far storcere il naso all’Ugl.

Con una simulazione che preveda un taglio dell’assegno previdenziale del 15 per cento , calcolando un’indicizzazione del trattamento previdenziale dell’1 per cento per ogni anno e un tasso d’interesse praticato dalle banche del 3,5 per cento, una persona che accedesse con un anno di anticipo e con un assegno di 1.000 euro lordi perderebbe ben il 6,9 per cento della pensione, ovvero l’equivalente di un importo mensile netto in meno (898 euro) ogni anno.
Più che un “regalo del governo” un furto. Un onere che, ovviamente, crescerà progressivamente con l’aumentare degli anni di anticipo richiesti.

Soldi sfumati dalle tasche dei “neo pensionati”, che andranno ad ingrossare le fila dei “nuovi poveri”, migliaia di italiani immolati nella filosofia “bancaria” del premier Renzi, che – casualmente (!?) – cade nei giorni in cui l’Abi, l’associazione della banche, si trova costretta ad ammettere (nel rapporto di maggio) che i finanziamenti a famiglie e imprese, dagli anni della crisi ancora al palo , hanno presentato una variazione pari allo zero.