di Caterina Mangia

J.C. Mendez Perez, 35 anni. Luis Vielma, 22. L.D. Wilson Leon, 37. Sono soltanto alcuni degli oltre cinquanta nomi di coloro che lo scorso 11 giugno hanno perso la vita durante la sparatoria a Orlando, nel locale gay “Pulse”. La strage, compiuta dal cittadino statunitense di origine afghana Omar Seddique Mateen, è la più sanguinosa di cui si abbia memoria negli Stati Uniti d’America ed è stata compiuta nel nome del jihadismo. Sempre nel nome della ‘guerra santa’ sono state fatte altre vittime a Magnanville, banlieu a circa 50 chilometri da Parigi: si tratta del comandante di polizia Jean-Baptiste Salvaing e della sua compagna, anche lei agente. Uccisi davanti al loro bambino di tre anni.
L’autore del gesto è il 25enne Larossi Abballa, che prima di essere ucciso dalle teste di cuoio che hanno tentato di salvare le vittime, ha spiegato alla polizia di aver agito “per rispondere al comunicato dell’emiro” Abu Bakr Al Baghdadi; il califfo ha infatti invitato i suoi seguaci adTerrorismo attaccare Europa e Stati Uniti durante il mese del ramadan, iniziato lo scorso sei giugno.
Viene da chiedersi quando questa tragica lista di morti avrà fine. Nonostante l’Isis sia stato sconfessato da numerose voci autorevoli dell’Islam, a partire dall’università del Cairo Al-Azhar – uno dei principali centri d’insegnamento religioso dell’Islam sunnita – la sua presa è ancora drammaticamente forte sulle menti più deboli e inclini al male.
Abballa viveva a Mantes-la Jolie, poco lontano dal luogo dell’assassinio, ed era già stato condannato nel 2013 – insieme con altre sette persone -, per aver partecipato all’invio di jihadisti in Pakistan. Aveva alle spalle un passato di piccolo delinquente fatto di furti, ricettazione e violenze, e poche decine di minuti prima di compiere gli omicidi avrebbe postato su Facebook Live un lungo messaggio in cui invitava a uccidere poliziotti, secondini, giornalisti e rapper, dichiarando che “l’Euro 2016 sarà un cimitero”. Questa la descrizione che il giudice Marc Trevidic, che lo ha interrogato nel 2013, ha fatto di lui a Le Figaro: “era un tizio come se ne vedono tanti nei dossier sugli islamisti, era imprevedibile, dissimulatore; voleva fare la jihad, questo è certo. Si era allenato in Francia, non militarmente, ma fisicamente. Tuttavia all’epoca, a parte le cattive frequentazioni e il jogging per tenersi in forma, non vi era molto contro di lui sul piano penale”.
Intanto emergono i dettagli della vita di Omar Mateen, il killer di Orlando: 29enne nato a New York ed ex guardia giurata, è stato attenzionato in passato dall’Fbi per terrorismo. Del padre – che ha pure condannato il suo gesto – si dice che sia un simpatizzante dei talebani afghani, mentre l’ex moglie, Sitora Yusufiy, intervistata dal Washington Post lo ha definito una persona instabile: “era bipolare. Mi picchiava e lo faceva anche solo perché il bucato non era pronto e cose del genere”.
Quello che resta molto più impresso nel cuore rispetto al profilo degli assassini sono i volti delle loro vittime; come quello di E.Jamoldroy Justice, 30 anni, che durante la mattanza a Orlando si è chiuso in bagno per scrivere gli ultimi messaggi alla mamma: “Mom I love you”.