Non solo “un caso”, ma una vera e propria beffa. Sarà davvero difficile per il cittadino comune riuscire a capire come, per sei minuti di spettacolo in prima visione, la Rai possa pagare ben 200.000 euro. Ancor più difficile lo sarà per un pensionato.
In Italia succede, però, anche qupensioniesto ovvero che per pochi minuti di performance un comico possa guadagnare più di quanto un lavoratore possa mai percepire lavorando tutta una vita. E’ accaduto proprio il 2 giugno per lo spettacolo di Benigni il cui compenso, per sei minuti esatti di prologo ad un monologo in replica andato già in onda nel 2012, è stato pari a 200 mila euro.
Uno scandalo se si pensa che in Italia, facendo un rapido calcolo, 6 minuti di un pensionato equivalgono a un reddito davvero misero: 0,078€. Assegni previdenziali che possono davvero definirsi “da fame” e che il più delle volte sono anche più bassi di quanto dovuto. Proprio su quest’ultimo caso un’inchiesta pubblicata da Libero riporta i dati di un’analisi a campione condotta anche dall’Enas e riguardante le pratiche previdenziali gestite in via ordinaria: su 5884 domande di accesso alla pensione presentate all’Inps dal patronato su base nazionale, quelle che hanno portato al computo di un rimborso da gennaio a dicembre del 2015 sono 942, ovvero il 16 per cento.
Inoltre, una norma introdotta nel 2011 accorcia a tre anni il termine per chiedere la correzione degli assegni.
“Il diritto alla pensione – ha spiegato il presidente dell’Enas, Stefano Cetica- dovrebbe essere imprescrittibile in ossequio ai principi contenuti nella nostra Costituzione. Il Decreto Legge n. 98 del 6 luglio 2011- convertito poi dall’art. 1, comma 1 della Legge n. 111 del 15 luglio 2011- invece, non solo ha ridotto la prescrizione del diritto a percepire l’assegno pensionistico da dieci a cinque anni, ma ha inoltre – in caso di errore da parte dell’INPS nella corresponsione dell’assegno di pensione – ridotto i termini decadenziali per poter avviare l’azione giudiziaria in tre anni, imponendo una tempistica molto ristretta”.
Secondo il presidente Enas, inoltre, “la circostanza più grave è che questo Decreto prevedeva che tale termine decadenziale di tre anni fosse applicabile retroattivamente anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore dello stesso, contravvenendo palesemente ai principi di eguaglianza e irragionevolezza sanciti dall’art. 3 della nostra Costituzione.
Fortunatamente, quest’ultima disposizione è stata censurata dalla Corte Costituzionale la quale, con la sentenza n. 69 del 2014, ha dichiarato illegittimo l’art. 38, comma 4, del suddetto Decreto Legge, nella parte in cui prevedeva che il termine decadenziale di tre anni fosse applicato anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del Decreto stesso”.
Tra assegni da fame ed errori, l’unica possibilità è ancora una volta affidarsi alle tante promesse del premier Renzi, che pochi giorni fa ha annunciato interventi per rendere flessibile la legge Fornero a partire dal cosiddetto anticipo pensionistico (Ape) per i nati tra il 1951 e il 1953 con penalizzazioni differenziate tra l’1 e il 4% per ogni anno di uscita anticipata. Il finanziamento dell’operazione dovrebbe essere garantito soprattutto da banche e assicurazioni: sarebbero loro a dover erogare l’anticipo della pensione tramite l’Inps con una sorta di “prestito” da restituire successivamente a rate una volta raggiunti i requisiti per la pensione di vecchiaia.
“La vera scommessa è sapere se possiamo dare un anticipo pensionistico – ha dichiarato Renzi -, l’Ape, a chi deve aspettare per la legge Fornero. Ne stiamo discutendo. Chi va in pensione prima deve rinunciare a qualcosa”, ha chiarito Renzi, anticipando che “i tempi sono quelli della Legge di stabilità, cioè i prossimi 3-4 mesi”. Tra gli interventi anticipati dal premier c’è anche l’incremento delle pensioni minime: oggi i trattamenti medi si aggirano sui 500 euro al mese, una cifra misera. L’idea è quella di estendere ai pensionati al minimo il bonus Irpef, la solita mancia da 80 euro, ma individuando criteri selettivi per ridurre la platea dei beneficiari.
Per il momento, però, tutto si riduce solo ai soliti annunci, mentre l’unico fatto concreto è che in un Paese come l’Italia è possibile pagare cifre imbarazzanti per uno “show” di pochi minuti, soldi pubblici che dovrebbero essere impiegati in altro, soprattutto in un momento di grave crisi come quello che sta vivendo il nostro Paese.