di  Alessandra De Vita

 

Secondo le ultime ricerche, l’occupazione dell’intero gentil sesso regalerebbe al pianeta il 26 per cento in più di Pil, circa 25mila miliardi di euro. Basterebbe anche solo la parità in azienda per far fare a tutti un bel balzo in avanti. Per riuscirci però, serve un cambio di rotta: smettere di delegare esclusivamente alla donna la cura della casa, e investire sulle politiche sociali che permettono di conciliare famiglia e carriera.

Se le donne fossero messe nella condizione di esprimere il loro potenziale economico, svilupperebbero l’economia mondiale, cambiando radicalmente le sorti della Terra.

Si calcola che, se le donne di tutto il pianeta nel 2025 lavorassero come gli uomini, genererebbero in meno di dieci anni una ricchezza pari a quella della Cina e della Russia messe insieme, eliminando la povertà.

Se ogni Paese migliorasse la situazione di parità sui posti di lavoro stimolerebbe la crescita con risultati enormi.

I dati dell’ultimo rapporto del McKinsey Global Institute, (Società internazionale di consulenza manageriale) con sedi anche in Italia – a Roma e a Milano –  dicono che, le donne saranno il motore dell’economia.

Nel nostro Paese, un incremento della partecipazione femminile ridurrebbe differenze e disuguaglianze ancora molto accentuate, infatti, i dati 2015 del Global Gender Gap Index, che quantifica la disparità tra uomini e donne nei vari Paesi,  mette l’Italia al 111° posto su 145 nazioni.

Negli ultimi anni la situazione è migliorata nella partecipazione femminile alla politica e all’istruzione, ma non ci sono progressi per occupazione e retribuzioni.

Da studi in materia di Scienza delle finanze, condotti nell’università Bocconi di Milano: “l’ingresso di centomila donne nel mercato del lavoro porterebbe un incremento dello 0,28 percento del Pil”.

Con questa cifra l’Italia potrebbe finanziare un terzo della spesa pubblica destinata alla famiglia.

“Non è una percentuale irrilevante, servirebbero 3 milioni di donne per raggiungere un’occupazione femminile del 60 per cento, come richiedevano per il 2010 gli obiettivi di Lisbona”.

“La strategia Europa 2020 più ambiziosa, fissa il tasso di occupazione di uomini e donne al 75 percento”.

La parità quindi, non è solo questione di diritti ma è un fattore produttivo. Secondo stime della Banca d’Italia, se il 60 per cento delle donne italiane lavorasse avremmo un aumento del 9,2 percento del Pil: ossia una torta di 100 diventerebbe una torta di 109 abbondanti. Al di là dei numeri, questa crescita significherebbe: un aumento della richiesta di servizi per lavori domestici e servizi sociali, aumento de i consumi, miglioramento delle performance delle imprese. Gli studi sul gender gap dimostrano che la presenza di donne ai vertici è vantaggiosa per le aziende. Invece, in Italia lavora meno del 47 per cento delle donne, contro il 65 per cento degli uomini. Significa che meno di una donna su due è occupata, e guadagna meno: a parità di lavoro il nostro stipendio è in media inferiore del 7 per cento.

La strategia vincente sarebbe, considerare le donne come una risorsa economica, in termini numerici e per qualità: talenti, istruzione, competenze femminili che non sono inferiori a quelle maschili.

Le donne hanno investito in formazione. Le ragazze studiano e spesso si laureano con percentuali più elevate e risultati migliori dei ragazzi, ma il passaggio dal mondo dell’istruzione a quello del lavoro non solo non premia, ma ne blocca le carriere. Nel nostro Paese la cultura di genere è arretrata: la maternità è considerata un ostacolo, una minaccia per l’impresa.

Nel nostro Paese, le politiche sociali inadeguate, l’offerta di asili nido, di servizi pubblici per l’infanzia insoddisfacenti evidenziano una spesa per servizi alla famiglia pari a circa l’1,58 percento del Pil, mentre la quota maggiore è destinata alle pensioni.

Il governo ha deciso di investire nel finanziamento di voucher invece di aprire asili, di fatto non sostenendo le donne che lavorano. Anche il Jobs Act prevedeva un  intervento a sostegno del lavoro delle donne, per scoraggiarne la permanenza tra le mura domestiche, ma per ora non c’è seguito.

Poi c’è il lavoro domestico, quello non considerato nel Pil, che per la donna italiana è pari in media a 22 ore settimanali in più rispetto a quello del partner. Ovvero lavoriamo gratis 22 ore in più degli uomini”.

“Nei Paesi nordici, la media del lavoro non retribuito della donna è  pari a 5 ore settimanali rispetto al partner, con un carico lavorativo domestico maggiore di 5 ore”.

Noi italiane lavoriamo secondo questo studio, 90 ore al mese in più rispetto agli uomini italiani e quasi settanta ore in più rispetto alle donne del Nord Europa”.

La questione è culturale e cambiare la mentalità sarebbe il primo passo per ridurre questa forte asimmetria nella divisione dei compiti nell’ambiente domestico. Le italiane, sono meno occupate anche perché assumono un carico domestico e responsabilità familiari maggiori degli uomini. La carenza di servizi e una politica non all’altezza, restia a creare un ambiente sociale in grado far conciliare lavoro e famiglia, ha prodotto che le donne continuino a svolgere il 75 per cento del lavoro non retribuito, non potendo dedicarsi alla carriera.

Una ricerca di Accenture (Multinazionale di consulenza statunitense) spiega che l’uguaglianza può essere raggiunta più velocemente grazie alla tecnologia. “La tecnologia che consente di lavorare a casa potrebbe aiutare a raggiungere la parità di genere in 25 anni e non in 50, come sarebbe previsto dal ritmo attuale nelle economie sviluppate”.

Oggi l’organizzazione del lavoro non è favorevole alle donne: gli orari sono rigidi, c’è scarsa flessibilità. La tecnologia, potendo ridurre la presenza in ufficio, potrebbe dare impulso al raggiungimento della parità.

In Italia, il percorso riguardo al cosiddetto “lavoro agile” è appena iniziato, anche se si cominciano a delineare i primi progetti per adeguare l’occupazione soprattutto femminile,  alle attuali esigenze del mercato del lavoro.

L’Ugl da sempre sensibile al binomio donna – lavoro resterà alta, sempre in sinergia con tutte le forze sociali e politiche presenti sul territorio nazionale,  la donna è un’immensa risorsa che, in ogni ambito da quello domestico a quello lavorativo, va tutelata e, soprattutto valorizzata. Di recente abbiamo partecipato ad un convegno dal titolo “JobsAct, il lavoro non è una cosa per donne” (organizzato alla Camera dei Deputati dall’On. Mara Carfagna, responsabile dipartimento nazionale libertà civili e diritti umani di Forza Italia e dall’On. Renata Polverini, responsabile dipartimento nazionale politiche del lavoro e sindacali di Forza Italia) durante il quale abbiamo potuto dibattere proprio sulle difficoltà che penalizzano le donne nell’ambito lavorativo. Un valido e fertile terreno di confronto utile per avanzare proposte e, si spera, con il tempo di poterla concretizzare.