“Il Documento di economia e finanza non convince, come non avevano convinto i precedenti, e nasce, come gli altri, senza il benché minimo confronto con le organizzazioni sindacali e, più in generale, con i corpi intermedi. Un’impostazione più ideologica che pratica che non serve al Paese”.
Questo quanto affermato dal segretario generale dell’Ugl, Francesco Paolo Capone, in audizione presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato, alla Camera dei Deputati, sul Def. Presenti anche i segretari confederali, Fiovo Bitti e Giovanni Condorelli.
Secondo il documento presentato dall’Ugl “è sufficiente guardare al Programma nazionale di riforma che il  governo definisce ambizioso, ampio e profondo, ma che, nella realtà, appare incompleto, contraddittorio e soprattutto con forti elementi critici”. Incompleto perché “poco o nulla prevede per il Mezzogiorno, ancora una volta relegato ai margini delle politiche governative”: proprio per questo motivo il sindacato ha consegnato al Parlamento un progetto di rilancio del Sud, complesso e completo, centrato su otto priorità trasversali alle otto regioni meridionali e con uno sguardo alle sponde del Mediterraneo. Un progetto che coniuga ambiente e infrastrutture, fondi europei e beni culturali, energia ed occupazione, welfare e tutela del made in Italy e che è frutto di una intensa opera di confronto con le istituzioni e le rappresentanze imprenditoriali, sindacali e dell’associazionismo locali.  “L’impressione è che si sia perso un anno, inseguendo risultati fragili ed effimeri. È sufficiente guardare al Programma nazionale di riforma che il  governo definisce ambizioso, ampio e profondo, ma che, nella realtà, appare incompleto, contraddittorio e soprattutto con forti elementi critici. Un documento quello del governo che si presenta incompleto anche su materie di fondamentale importante, ad iniziare dalle pensioni e dal rinnovo dei contratti collettivi di lavoro del pubblico impiego. Contraddittorio, invece, perché da una parte, si legge nella nota Ugl “collega la timida ripresa alle misure adottate, ma, dall’altra, evidenzia chiaramente come il risultato dipenda dalle condizioni esterne che rimangono molto deboli e complesse”.
Con forti elementi critici perché le priorità dell’esecutivo non coincidono con quelle del Paese reale. “È il caso di richiamare alla memoria l’iter con il quale si è riformato il mondo del lavoro: si è prima permesso di licenziare più facilmente, mentre è ancora in divenire la messa in efficienza dei servizi per il lavoro e dell’intero sistema delle politiche attive. Chi oggi purtroppo perde il lavoro, rimane disoccupato per lungo tempo”.
Le riforme tratteggiate nei vari titoli che compongono il Programma sono in molti casi appena abbozzate. Il primo step è rappresentato dalla riforma costituzionale: “se consideriamo anche la nuova legge elettorale, si osserva con preoccupazione una riduzione degli spazi di partecipazione.  Il tema della giustizia è strettamente connesso al recupero di efficienza della pubblica amministrazione”. Per quanto riguarda la riforma della pubblica amministrazione, sulla quale il governo pone grande enfasi, “è ancora in larga parte sulla carta. Alla approvazione della legge delega, è seguito il solo voto preliminare in Consiglio dei ministri dei primi undici decreti attuativi. Nella migliore delle ipotesi, le prime misure andranno in vigore nella seconda metà del 2016, senza avere però certezza alcuna di recuperare in efficienza ed efficacia. L’unica misura adottata è stata quella della riduzione dei comparti con ricadute pesanti in termini di rappresentatività e rappresentanza dei lavoratori. Nulla è previsto per il rinnovo dei contratti collettivi, salvo il poco stanziato con la legge di stabilità, sufficiente ad assicurare un aumento di pochi euro a fronte dei migliaia di euro persi dal 2009 ad oggi”.
Gli interventi sul sistema bancario non hanno ancora prodotto i risultati sperati. “Nonostante una timida ripresa dei prestiti alle famiglie ed alle imprese, l’accesso al credito rimane complicato, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno. Le riforme avviate scontano un gap di mancato confronto con le stesse istituzioni creditizie e, soprattutto, non tengono conto di due elementi: il personale dipendente e la giusta e corretta tutela dei risparmiatori; sia i primi che i secondi coinvolti, loro malgrado, nelle scellerate decisioni che hanno trascinato diversi istituti di credito, anche di primaria importanza, in situazioni di forte criticità.
Ebbene, ferma restando la necessità di operare per assicurare la stabilità del credito, è anche da domandarsi come e perché si sia arrivati ad una tale situazione che ha drammatici riflessi sui piccoli risparmiatori, ai quali sono stati presentati e venduti strumenti finanziari particolarmente rischiosi, e sugli stessi dipendenti. “Non a caso, l’Ugl, attraverso la sua Federazione di categoria, ha avviato una campagna nazionale di sensibilizzazione contro le pressioni commerciali cui sono sottoposti i lavoratori del settore”.
La legge annuale per il mercato e la concorrenza sta avendo un percorso parlamentare lento e contrastato. Nel complesso, le misure contenute nel disegno di legge non avranno impatti significativi sul prodotto interno lordo né sui cittadini.
Nel corso del 2015 hanno visto la luce otto decreti attuativi della legge delega 183/2014, cosiddetto Jobs act, in materia di lavoro. L’Ugl conferma la propria critica sulla legge delega 183/2014 e sulla larghissima parte dei contenuti degli otto decreti attuativi. Di fatto, oggi il lavoro continua ad essere precario, alla luce dell’introduzione del contratto a tutele crescenti, che peraltro ha finito per fagocitare il contratto di apprendistato, con ricadute negative sui giovani, e all’aumento delle soglie di utilizzo dei voucher. Oltre all’intervento normativo, l’esecutivo ha messo in campo una forte dose di risorse, sotto forma di decontribuzione generalizzata in caso di assunzione o trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ben inteso a tutele crescenti. Rispetto al 2014, l’occupazione, però, cresce esclusivamente nella fascia di età compresa fra i 50 e i 64 anni, ma in questo caso si tratta dell’effetto diretto dell’innalzamento dell’età pensionabile e del superamento del sistema delle quote, derivanti dalla somma di età ed anzianità contributiva.
“La riforma della scuola appare ad oggi, a quasi un anno di distanza dalla sua approvazione, un cantiere per molti versi ancora aperto. Considerazioni simili possono essere svolte per l’università e per la ricerca. È qui che si evidenziano le contraddizioni di un esecutivo nel quale spesso l’azione politica sembra divergere profondamente. Da una parte si afferma la centralità della ricerca, stanziando risorse per 500 cattedre del merito, intitolate a Giulio Natta, premio Nobel per la chimica; dall’altra, però, una delle più importanti partecipate dello Stato, l’Eni, annuncia di voler uscire da Versalis, mettendo a rischio proprio la filiera della chimica nel nostro Paese”.
A distanza di oltre due anni dal proprio insediamento, il capitolo ancora tutto da scrivere è quello della riduzione degli squilibri territoriali. “Il governo Renzi non ha mai posto fra le sue priorità il Mezzogiorno che, anzi, è stato espropriato di risorse destinate allo sviluppo locale che sono dirottate su altri provvedimenti, ad iniziare dal bonus di 80 euro e dalla decontribuzione sui contratti a tempo indeterminato”. Al Masterplan del governo, raccolta di sedici Patti per il Sud, l’Ugl sindacale contrappone il Sudact, un progetto coerente di rilancio del Mezzogiorno, già promosso fra il settembre e il novembre dello scorso anno ed ora ripreso con una mobilitazione iniziata ad aprile e che terminerà a giugno, che mette insieme otto driver di sviluppo: l’ambiente, le infrastrutture, i fondi europei, il turismo e i beni culturali, l’energia, l’occupazione, il welfare e la tutela del patrimonio agroalimentare. “La crescita del Meridione – si legge –  è condizione necessaria per avviare una vera azione di contrasto alla povertà”. È di tutta evidenza che quanto stanziato non è sufficiente a raggiungere tale scopo; servirebbero almeno otto miliardi come sostegno al reddito ed altrettanti per favorire un percorso di politica attiva e di inclusione sociale.
Il disegno di legge di contrasto alla povertà, il cosiddetto Social act, collegato alla legge di stabilità ed attualmente in discussione in Parlamento, presenta, oltre alla carenza di risorse, altri elementi di forte criticità, su due dei quali si richiama l’attenzione. Il primo riguarda il concetto di “universalismo selettivo”. Il secondo elemento è l’ipotesi di razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale e delle altre prestazioni anche di natura previdenziale, sottoposte alla prova dei mezzi. Siamo davanti ad un intollerabile attacco alle pensioni di reversibilità e a quelle indirette.  Sul versante fiscale, la trasformazione del bonus di 80 euro in detrazione ha permesso all’esecutivo di poter affermare che è in atto una riduzione della pressione fiscale.  “Si è trattato di un artificio che non è, però, riuscito a nascondere la realtà dei fatti: il sistema fiscale nel nostro Paese è fortemente iniquo perché non valorizza a sufficienza i fattori di produzione né tiene conto, se non in misura ridotta, del carico familiare. La revisione della spesa pubblica si è per il momento giocata sulle pelle dei dipendenti pubblici, ma anche dei cittadini, sui quali ricadono pesantemente gli effetti dei minori trasferimenti verso le regioni e gli enti locali, in termini di qualità e quantità di servizi erogati. In fatto di revisione della spesa pubblica, sarebbe inaccettabile qualsiasi intervento unilaterale sulle cosiddette tax expenditures. La riduzione del debito deve passare dalla revisione ragionata della spesa pubblica e non dalla cessione di quote rilevanti di società partecipate”.

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