di Barbara Faccenda

Prima di parlare della situazione politica attuale, vale la pena di ricordare come si è arrivati fin qui. Dopo la rivoluzione del 2011, la caduta di Gheddafi e l’intervento NATO, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, tra cui l’Italia, offrirono una varietà di programmi di assistenza alla sicurezza e assistenza economica per aiutare a ricostruire le forze professionali di sicurezza.Sfortunatamente solo pochi di questi programmi s’indirizzarono alle cause centrali del caos post – Gheddafi. Una delle decisioni che ebbe un impatto significativo fu quella per cui il nuovo governo eletto inseriva centinaia di membri delle milizie nel libro paga del settore pubblico piuttosto che trovare un modo per smobilitarli, dopo la rivoluzione, e reintegrarli nelle poslibia_immagine_lametasocialeizioni civili. Una volta che il precedente era stato creato, impossibile da invertire, le milizie contribuirono solo all’insicurezza libica. Così, in qualsiasi momento, una milizia estorceva qualcosa al governo. Un esempio famoso: la presa in ostaggio dell’intero parlamento fino a quando non approvò una legge che limitasse il ruolo degli ex membri del regime nei governi futuri. In altre parole il governo diventò ostaggio delle milizie. Le elezioni del 2012 diedero vita al nuovo apparato governativo il General National Congress (GNC). Importante tenere a mente che l’elezione fu tenuta a giugno e il GNC elegge il suo presidente i primi di agosto, il Ramadan era in agosto, quando si svolgeva pochissimo lavoro negli uffici. Alle difficoltà si aggiungeva l’inabilità da parte del governo libico di definire quale assistenza volessee di continuare le necessità burocratiche minori tipo la firma di documenti o i pagamenti per i progetti che il governo rivendicava di autofinanziarsi. Il governo libico cresce in fragilità dal 2013 alla metà del 2014, il clima politico si fa molto intenso. Quando si decide di svolgere altre elezioni nel giugno del 2014, inizia un periodo di violenza intensa delle milizie che costringono la comunità internazionale a lasciare Tripoli. Violenze che continuano con approssimativamente 1500 morti nel 2015 e la frammentazione di potere raggiunge un punto in cui non si capisce più chi detiene la reale autorità. Nascono de facto due parlamenti opposti a Tripoli il GNC e a Tobruk l’House of Reppresentative (HoR) vincitore delle elezioni del 2014. L’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti hanno appoggiato, anche con bombardamenti il governo di Tobruk, mentre il Qatar e la Turchia hanno sempre sostenuto il governo conservatore di Tripoli.Il 17 dicembre 2015, in Marocco, dozzine di delegati delle due compagini governative rivali, così come municipalità locali e la società civile, firmano un accordo politico delle Nazioni Unite per formare un governo di unità nazionale.

Cosa accade in questi giorni

L’8 aprile 2016piazza dei martiri a Tripoli è stata protagonista di una manifestazione popolare contro l’istituzione del Consiglio di Stato senza il voto della House of Representative. Manifestazioni più piccole si sono svolte anche nella piazza principale, Kish, di Benghazi.Il Consiglio di Stato, organo previsto dall’art. 19 dell’accordo politico(accordo sostenuto dal Consiglio di Sicurezza con risoluzione n.2259), non è ancora ufficialmente esistente perché occorre che l’House of Rappresentative (HoR) incorpori l’accordo politico nel sistema giuridico libico con un emendamento alla dichiarazione costituzionale del 2011 che opera come costituzione ad interim. Inoltre, si è sollevato il criticismo di alcuni osservatori sul potere del Consiglio di Stato. Esso secondo il su citato articolo dell’accordo politico deve essere l’alta assemblea consultiva dello stato, sembra invece abbia iniziato ad agire come un’assemblea legislativa. Un altro aspetto fondamentale per la “rinascita” politica del paese è la Costituzione. 37 dei 56 membri della CostitutionDrafting Assembly (CDA) sono andati a Salalah, ospiti del governo dell’Oman per alcuni giorni di colloqui con UNSMIL (la missione Nazioni Unite in Libia). Lo scopo era quello di cercare una qualche sorta di accordo sul continuare la difficile gestazione della bozza di una nuova costituzione che poi sarà sottoposta a referendum. Il CDA ha iniziato i suoi lavori nel giugno del 2014. Tuttavia, Khaled BubakrWahli, uno dei due Tebu partecipanti (popolazione dell’Africa sahariana, dislocata con stanziamenti discontinui tra Niger, Libia, Ciad e Sudan, suddivisi in clan patrilineari, pastori transumanti, dediti in parte anche al commercio e all’agricoltura; professano la religione musulmana), hanno dichiarato che UNSMIL non né serio né tantomeno imparziale nel dialogo. Affermanodunque di rigettare totalmente le consultazioni a Salalah, aggiungendo che i Tebu avrebbero ancora una volta sospeso la loro appartenenza al CDA. Si è anche dibattuto sul sistema statale, rifiutando il federalismo, ma accettando la decentralizzazione garantendo alle regioni, province e municipalità più poteri, senza però raggiungere il voto dei 2/3 dei membri necessario per approvare le disposizioni del CDA.

Gli interessi dell’Italia

L’ Eni è presente in Libia dal 1959 con un livello di produzione attuale pari a 300mila barili di olio equivalente al giorno, molto di più di quello che la compagnia produceva prima della rivoluzione libica del 2011. Lo scorso autunno un auto bomba è esplosa di fronte alla sede della joint venture libica con l’ENI di cui se n’è assunto la responsabilità lo stato islamico. Molti sono andati via, ma l’ENI ha persistito, questo perché la Libia ha le quarte più larghe riserve naturali di gas in Africa. Ricordiamo in particolare che le attività dell’ENI in Libia sono concentrate prevalentemente nell’area occidentale nei giacimenti offshore BahrEssalam, che, attraverso la piattaforma di Sabratha, garantisce l’approvvigionamento di gas al centro di trattamento di Mellitah che lo convoglia poi al gasdotto Greenstream per l’esportazione verso l’Italia, i cui flussi sono rimasti regolari come ribadito più volte dai vertici del gruppo.

Nel corso di un incontro, lo scorso dicembre, a Roma, tra Claudio Descalzi, e il presidente della compagnia petrolifera di Stato libica National Oil Corporation, MustafaSanalla, si sono rinsaldati i rapporti tra le società;il gruppo italiano è il maggiore produttore straniero di idrocarburi in tutte le regioni della Libia.

La transizione politicalibica e la minaccia dell’ISIS non possono essere affrontati con un’unica strategia.

Se è vero che si dovrebbero apprendere le lezioni dalla storia, è altresì vero che si è sottostimata l’estensione in cui Gheddafi ha privato il paese di istituzioni funzionanti e creato un sistema complesso tra funzionari, ufficiali per cui nessuno voleva prendersi la responsabilità di approvare decisioni importanti. Abbiamo sentito che prevenire una catastrofe umanitaria e creare una democrazia avrebbe sconfitto l’estremismo e poi abbiamo visto cosa ne è scaturito, compresa un crescente abuso di diritti umani. Abbiamo visto che la precedente pressione dalla comunità internazionale per restare incollati ad una sequenza temporale spesso affrettata ha dato il via ad errori fatali in Libia, come le elezioni del 2014 dove non c’è stata una massiccia registrazione ed un accordo tra le fazioni per rispettare il risultato. Il voler credere che la forza militare produca stabilità si è dimostrato un pensiero del tutto errato. Vediamo, infine che, nel tentativo di semplificare ogni situazione a tutti i costi, si mette in un unico calderone la transizione politica e la minaccia dei gruppi estremisti ed in particolare dell’ISIS. La transizione politica, e ancora di più la riconciliazione sono processi lenti che hanno un unico protagonista: il popolo libico. La minaccia che emana dall’ISIS va tenuta distinta. Il gruppo beneficia della mancanza di una strategia della comunità internazionale. Inoltre, l’ISIS non deve rimanere popolare in Libia per dominare ed espandersi, tutto quello di cui ha bisogno è la perpetuazione dello status quo.Vista l’esigua distanza tra Roma e Tripoli, sarebbe una bella novità, se l’Italia fosse decisa ad assumere un ruolo da protagonista nella politica estera, in particolare in Libia. Pur dovendo, ovviamente rimanere in un quadro di legalità del diritto internazionale, è evidente che le linee guida di strategie efficaci ed effettive soprattutto a lungo termine, debbano essere costruite per tempo, evitando di pensare che si possa risolvere ogni cosa con il ricorso alla forza armata.