di Marco Colonna

Primo flop degli occupati con il taglio degli incentivi, gli sgravi fiscali del Jobs Act  passati da 8mila euro l’anno per ogni assunzione a tempo indeterminato nel 2015 a 3.250 euro l’euro a partire dal gennaio 2016.
A confermare la tendenza è l’Istat che – con le statistiche pubblicate il primo aprile – certifica l’inevitabile crollo dei neoassunti a gennaio, a dimostrazione che  le imprese hanno accelerato i nuovi contratti  nel dicembre del 2015 per usufruire degli sgravi fiscali e poi con l’anno nuovo l’inevitabile flessione.lavoroSegno che il “contratto a tutele crescenti”, uno dei cardini del “Jobs Act” del premier Renzi , pur rimanendo in vigore nei prossimi anni, offre agli imprenditori una notevole riduzione degli   incentivi fiscali per i neoassunti   fino a una certa soglia dal 100% al 40% dei contributi e per la durata di due anni invece di tre
La prima dimostrazione la stima degli occupati di febbraio 2016 che diminuisce dello 0,4% (-97 mila persone occupate) , con un calo di occupati che coinvolge uomini e donne e si concentra tra i 25-49enni. La stima dei disoccupati che a febbraio è in lieve aumento (+0,3% pari a +7 mila) e Il tasso di occupazione, pari al 56,4%, che cala di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente.
Il calo occupazionale è determinato dai dipendenti (-92 mila i permanenti , si tratta del primo calo dall’inizio del 2015 , e -22 mila quelli a termine) , mentre è in aumento dello 0,3% (+7 mila) il numero dei disoccupati a febbraio , così come Il tasso di disoccupazione pari all’11,7%, (+0,1% rispetto a gennaio).
Introdotto nel marzo 2015, il nuovo “contratto a tutele crescenti” oltre a portare in dote questa riduzione degli sgravi fiscali conserva una misura che l’Ugl ha contestato duramente: la ridotta possibilità di reintegro dei lavoratori licenziati nelle aziende con più di 15 dipendenti, sostituita nella maggior parte dei casi con un indennizzo, che aumenta con la durata di servizio.
E che per il Jobs Act di Renzi si tratti di un clamoroso bluff c’è anche il risultato di uno studio elaborato  da due ricercatori di Banca d’Italia,  Paolo Sestito, capo del servizio Struttura Economica dell’Istituto, ed Eliana Viviano, che – come hanno riportato i media poche settimane fa – si dicono convinti che “ la combinazione del contratto a tutele crescenti e degli incentivi del Jobs Act possa spiegare solo il 5% delle nuove assunzioni a tempo indeterminato e l’1% dei nuovi posti di lavoro in generale”.
Insomma, al di là delle frasi ad effetto del presidente del consiglio e del suo continuo rivendicare successi in materia di lavoro e ironizzare sui “gufi” che leggano le statistiche senza trionfalismi, la disoccupazione aumenta!
Come ha confermato l’Istat nel suo rapporto annuale “Noi Italia”, che per tracciare una fotografia attendibile economico-sociale del nostro Paese pesca da oltre 100 indicatori distribuiti in 6 macro aree e 19 settori.
Ebbene, anche in questo caso – il dossier presentato il 7 aprile 2016 – ci troviamo di fronte a statistiche negative.
Nel 2015 in Italia sale al 14% l’incidenza del lavoro a termine nel 2015, più alta nelle regioni meridionali (18,4%) rispetto al Centro-Nord (12,5%), è forte lo squilibrio di genere a sfavore delle donne (70,6% gli uomini occupati, 50,6% le donne) come il divario territoriale tra Centro-Nord e Mezzogiorno.
Al sud la situazione è gravissima: nel 2015 è record di disoccupati nel Mezzogiorno (54,1%), soprattutto in Calabria, dove si arriva a un tasso del 65,1% e tra le ragazze (58,1%). Il tasso di disoccupazione massimo dei giovani in età compresa 15-24enni   si è registrato proprio al Sud (54,1%), soprattutto in Calabria, dove arriva al 65,1% e fra le ragazze (58,1%). Poco meno di sei disoccupati su dieci (58,1%) cercano lavoro da oltre un anno, in riduzione dal 60,7% del 2014. Estremi i casi Sicilia e Calabria, dove giovani che non hanno alcun tipo di impegno – noti come Neet – arrivano addirittura a sfiorare il 40%.
Sempre nel 2015, l’incidenza del lavoro a termine nelle regioni meridionali sale al 18,4%, rispetto al 12,5% del Centro-Nord, una percentuale massima dal 2004 e rispetto al 13,6% del 2014.
Il livello di insoddisfazione per la situazione economica è aumentata sempre al Sud e Centro Italia di circa 4,5 punti percentuali in più rispetto al 2014.
Ed anche peggio è   l’indicatore di “grave deprivazione materiale” , ovvero: la povertà delle persone, che se in Italia segna una riduzione dell’11,6% al Sud vola al 19,9% (ne sono interessati oltre 4 milioni di individui), un tasso più elevato di quello rilevato in tutto il Centro-Nord (7,2%, quasi 3 milioni di individui).
Un fattore confermato da un altro dato presentato il 7 aprile dall’Istat: il Pil pro capite nel Mezzogiorno (16.761 euro) è quasi la metà di quello del Nord Ovest (30.821) e del Nord Est (29.734 euro).