di  Alessandro De Pasquale*

La polizia penitenziaria merita una riforma rivoluzionaria, degna della professionalità delle donne e degli uomini che vi fanno parte, una polizia penitenziaria non più ghettizzata ma proiettata in attività istituzionali esterne.

L’ottimo progetto di riforma disegnato dalla commissione Gratteri avrebbe realmente  rivoluzionato il sistema penitenziario italiano se non fosse stato bloccato da coloro che, tra le righe dello stesso, hanno voluto leggerci un depotenziamento della polizia penitenziaria con la perdita delle funzioni di polizia giudiziaria. Si tratta, come è noto ai più,  di una errata interpretazione: il testo predisposto dalla commissione,infatti, tende ad ampliare  ed aumentare le competenze esterne di polizia prevedendo, tra l’altro, servizi  radiomobili sul territorio (scorte e tutela dei magistrati, protezione dei testimoni e dei collaboratori, controllo delle misure esterne e degli affidati in prova, sicurezza dei tribunali).

E’ indubbio che parlare di rivoluzione faccia paura, soprattutto a chi del proprio orticello ne ha fatto una repubblica. E’ altrettanto indubbio che, la gestione delle carceri è sempre stata problematica; si tratta, infatti, di una realtà in cui convivono professionalità differenti con aspettative di carriera ed economiche diverse che sono alla base dei conflitti generatisi nel tempo. Tali conflitti  potranno essere superati soltanto riunendo sotto un unico corpo le varie professionalità. E’ necessario, dunque, un atto di coraggio in grado di spazzare via le differenze ideologiche che costituiscono il cancro dell’Amministrazione penitenziaria.

Riformare il corpo di polizia penitenziaria non è affatto semplice, anche perché molte sono le personalità, autorevoli e non solo, contrarie ad un progetto con un obiettivo rivoluzionario:  costruire una realtà penitenziaria forte e coesa all’interno di un unico corpo. Un tale rivoluzione genera comprensibili timori  che spingono a lanciare inutili allarmi su un possibile rafforzamento della componente di polizia a discapito delle esigenze di trattamento. Chi ha un minimo di esperienza negli istituti penitenziari è consapevole, però,  che la sicurezza e il trattamento penitenziario non possono viaggiare su binari diversi e l’una non può escludere l’altra.

La grande riforma è sotto gli occhi ed alla portata di tutti, nonostante i tentativi di indebolirla facendo circolare falsi timori. Le donne e gli uomini della polizia penitenziaria non meritano di pagare il prezzo di una mancata riforma perché qualcuno non ha il coraggio di cambiare un sistema penitenziario in cuiil caos dominante rischia di mettere in secondo piano l’obiettivo della nostra attività, sancito dalla Costituzione: lavorare per la rieducazione del condannato.

*Segretario Generale Ugl Polizia Penitenziaria