di Nazzareno Mollicone

La sfida elettorale alle elezioni primarie statunitensi del senatore democratico del Vermont Bernie Sanders alla sperimentata Hillary Clinton sta riservando ogni settimana delle sorprese: l’ultima è stata quella del Michigan dove l’8 marzo ha vinto Bernie Sanders battendo la Clinton. Vittoria che si aggiunge a quelle già conseguite in Colorado, Masschussetts, Minnesota, Nebraska, New Hampshire, Oklahoma, Vermont, portando il numero dei delegati eletti a 549 contro i 762 della Clinton: trattasi di Stati che hanno una certa importanza nella storia e nell’economia degli Stati Uniti.
Ma perché questo senatore, anziano – ha 74 anni – e del tutto sconosciuto fuori dagli Usa, sta ottenendo questi successi inaspettati insieme a sconfitte (onorevoli) negli altri Stati dove ha perso?
Perché egli sta interpretando un sentimento diffuso tra gli americani che è insieme quello di rivolta contro i consolidati apparati dei partiti e contro le “dinastie” che da un po’ di tempo si stanno alternando alla guida del Paese americano.
Ma non basta: egli sostiene apertamente, e diremmo quasi solitariamente, una politica sociale che negli Usa è sempre assente dai dibattiti politici e dalla realtà popolare.
Sanders infatti fa delle affermazioni e delle proposte che per certi versi a noi europei ci sembrano sorprendenti vista la nostra secolare tradizione sociale. Egli infatti afferma:

  • la media della gente oggi lavora per più ore ottenendo paghe sempre più basse;
  • la disuguaglianza sociale tra la popolazione sta aumentando, e cresce il divario tra le persone più ricche e quelle più povere;
  • la tassazione sui redditi medio-bassi dei lavoratori va diminuita elevando quella delle società e dei fondi d’investimento, molto agevolata dalle ultime presidenze;
  • la costituzione e l’adesione dei lavoratori ai sindacati deve essere liberalizzata, e non contrastata dalle leggi federali e statali come avviene ora;
  • bisogna combattere la disoccupazione facendo grandi lavori di opere pubbliche, visto lo stato disastroso in cui si trovano molte infrastrutture nazionali, ricordando anche che le statistiche sulla disoccupazione sono falsate perché considerano “occupati” persone che lavorano poche ore a settimana;
  • è favorevole alla costituzione di cooperative formate dai lavoratori;
  • è necessario un sistema universale e generale di sanità pubblica;
  • serve una legislazione nazionale che preveda per i dipendenti dalle società la concessione di 10 giorni di ferie l’anno retribuite, di 12 settimane retribuite ai genitori di bambini, la corresponsione della retribuzione in caso di gravi malattie (cancro, ecc.) e di almeno sette giorni l’anno per piccole malattie.

Chiedere oggi, nel 2016, queste normative sembra assurdo per noi italiani ed europei: ma questa è la situazione reale in cui vivono i lavoratori e le famiglie a basso reddito negli Stati Uniti!
Ma anche in politica estera le proposte e le posizioni di Sanders sono in controtendenza rispetto alle azioni effettuate dagli Usa negli ultimi decenni. Egli infatti:

  • pur essendo ebreo, sostiene la costituzione di due Stati nel Vicino Oriente, Israele e Palestina, e condanna come inutile e controproducente violenza i bombardamenti e le distruzioni indiscriminate commesse da Israele nei territori palestinesi;
  • ha votato contro l’invasione dell’Iraq nel 2003;
  • considera lo Stato Islamico dell’ISIS come un gruppo barbarico che va eliminato.

Per quanto riguarda infine un argomento che tra poco coinvolgerà noi europei, ossia il Trattato interatlantico di libero commercio (TTIP) egli si è già espresso contro quello analogo stipulato poche settimane fa nel Pacifico con il Giappone e numerosi altri Stati, perché ritiene che la liberalizzazione generalizzata del commercio potrebbe danneggiare, con il dumping dei prezzi di produzione, anche l’apparato manifatturiero nordamericano.
In sintesi, Sanders sta raccogliendo i consensi dei cosiddetti “blue and whitecollars”, ossia i lavoratori operai ed impiegati che vivono in condizioni sempre più precarie, oppressi dal dominio incontrastato delle multinazionali e delle grandi “corporations” da un lato, e dall’altro dall’onnipotenza delle banche e della finanza le quali, nonostante le loro crisi, continuano ad essere tutelate dal governo federale. Non è infatti un caso che Sanders riesca a vincere negli Stati a prevalenza industriale: significativo è il recente caso del Michigan, dove vi sono la Detroit dell’automobile e delle altre industrie collaterali, ed AnnArbor, ricca di industrie di alta tecnologia.
Probabilmente Sanders non riuscirà a battere alla “Convention” democratica la Clinton, forte quest’ultima dei milioni di dollari ricevuti dalle grandi centrali finanziarie nordamericane: ma sta lanciando al Paese un grande segnale di allarme e di protesta: cosa questa confermata dai sondaggi d’opinione sui due personaggi, che danno la Clinton al 49% delle preferenze degli elettori democratici, e Sanders al 42%. Partita, quindi, apertissima che si deciderà alla Convention.