di Marco Colonna

lavoroIl tasso di disoccupazione giovanile (fra i ragazzi in età compresa fra i 15 ed i 24 anni) a gennaio si impenna , portandosi al 39,3%, il valore più alto dall’ottobre scorso, con un aumento di 0,7 punti percentuali su base mensile, il doppio da 2007. Un dato che ci allontana dall’Europa, dove la percentuale media di disoccupazione giovanile è al 22% (in Germania è al 7%), maglia nera dopo la Grecia.
A darne notizia è l’Istat nelle sue ultime stime che confermano il problema della disoccupazione giovanile a gennaio rimarcato da un altro dato: rispetto a dicembre gli occupati con meno di 24 anni sono diminuiti di 31.000 unità mentre sono aumentati di appena 8.000 unità coloro che hanno tra i 25 e i 34 anni. E il 52,5% dei giovani under 25 italiani che lavora ha un contratto di lavoro precario, con il 36,3% che resta nel suo posto di lavoro per meno di 12 mesi (il 40,2% per le giovani donne).
Nel 2015 nella fascia d’età fra i 15 e i 24 anni si sono persi 7mila posti di lavoro rispetto al 2014, e addirittura in quella compresa fra 35 e 49 anni il calo è stato di 69mila unità.
Il tasso di disoccupazione è stabile nell’arco degli ultimi quattro mesi (l’11,5% a gennaio) con i “senza lavoro” che hanno quasi raggiunto il tetto dei tre milioni (2 milioni 951 mila, per l’esattezza) e gli occupati che , di fatto, crescono esclusivamente tra gli over 50, per via dell’innalzamento dell’età pensionabile e delle trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti precari: nel 2015, in Italia, dei 764.129 rapporti di lavoro a tempo indeterminato in più rispetto al 2014, ben 578.081 sono trasformazioni, facilitate dai meccanismi del jobs act.
Non devono dunque ingannare i segni ‘+’ che il premier Renzi , trionfalisticamente , è propenso a sbandierare in pubblico quando affronta le tematiche del lavoro.
In realtà, la situazione dell’occupazione giovanile è tragica. Soprattutto al Sud, dove centomila ragazzi ogni anno cercano fortuna all’estero per trovare un lavoro o per conseguire un titolo universitario più facilmente spendibile , e dei quasi due milioni di giovani disoccupati almeno il 50% si “rifugia” nel programma “Garanzia Giovani” sperando in un’opportunità che per lo più – come dimostrato in un precedente nostro articolo pubblicato da “La Meta Sociale” – si dimostra aleatoria.
Del bacino di giovani che restano in Italia, ben 1 milione e 723mila sono i giovani “Neet” (di età fra 15 e 29 anni che non studiano, non seguono corsi di formazione e non cercano lavoro) censiti pochi giorni fa dal monitoraggio periodico del Ministero del Lavoro. Un male non solo economico ma anche psicologico e culturale per i giovani italiani dall’altissimo impatto sociale, con un sistema di welfare caratterizzato da un tasso di copertura piuttosto ridotto e da un contributo economico poco generoso.
La tendenza all’aumento della disoccupazione giovanile in Italia – spiega l’Ocse – si accompagna con l’ancor più preoccupante aumento dei giovani inattivi che non frequentano corsi di istruzione, non si aggiornano e non cercano un impiego. Le cause della disoccupazione giovanile sono ricondotte al sistema scolastico, ai cattivi collegamenti fra scuola e impresa, ad una diffusa mentalità anti-impresa e alla criminalità organizzata che soprattutto al Sud.
Nel rapporto ‘Going for growth’ di fine febbraio 2016 l’Ocse ribadisce che il problema dell’ elevato tasso di disoccupazione giovanile “mina la crescita nel lungo termine e l’inclusività attraverso l’erosione e l’allocazione errata di capacità nonché tramite una ridotta mobilità sociale”.
L’ Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico suggerisce al governo italiano di: “mobilitare una vasta gamma di politiche per migliorare le opportunità di lavoro per i disoccupati” facilitando il loro ritorno sul mercato del lavoro, si tratta di “un’agenda di riforme prioritaria” che migliorando “l’equità e l’efficienza dell’educazione” aumenterebbe l’ occupabilità tra i giovani lavoratori facilitando anche il ritorno al lavoro dei disoccupati di lungo termine.
L’Europa chiede all’Italia “politiche del lavoro ‘attive’ più decise che abbasserebbero il rischio di povertà ed esclusione sociale, riducendo così anche le diseguaglianze”.
Al netto della propaganda e dell’enfasi che caratterizzano il suo mandato, raccoglierà l’invito il premier Renzi?