Una lucida e precisa analisi del dott. Armando Riccioni  punta i riflettori sui pericoli che si insidiano dietro al Jobs Act e ai controlli a distanza. “Andrebbe specificato se – precisa Riccioni – nei fini connessi al rapporto di lavoro rientrino anche le procedure strettamente disciplinari, poiché in tal caso si avrebbe un ampliamento dei poteri del datore di lavoro con aumento del rischio di provvedimenti del tutto arbitrari”.

Dott. Armando Riccioni – Responsabile Ufficio Legale Enas

Con l’approvazione degli ultimi quattro decreti attuativi del Jobs Act, viene in risalto anche la riforma, assai discussa, riguardante la disciplina dei controlli a distanza posti in essere dal datore di lavoro nei confronti del dipendente: è sempre più concreto, infatti, l’intervento da parte del legislatore, in riforma dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori.
L’art. 23 del D. Lgs. 151/2015 opera una modifica dell’art. 4 della Legge n. 300 del 1970, il c.d. “Statuto del lavoratori”, al fine di rivedere la disciplina riguardante il divieto dei controlli a distanza, tenendo conto, in particolar modo, della rilevanza che hanno assunto nel sistema produttivo odierno, non solo i sistemi audiovisivi, ma anche qualunque altro strumento dal quale derivi la possibilità, per il datore di lavoro, di esercitare un controllo a distanza sull’attività lavorativa dei dipendenti.
Il comma 1 dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori sanciva, nella sua precedente formulazione, un divieto assoluto di controlli a distanza utilizzando strumenti audiovisivi ed altre apparecchiature, salvo poi operare una eccezione al comma 2, stabilendo che tale divieto cadeva nel momento in cui il datore di lavoro avesse osservato l’obbligo di installare tali apparecchiature, per esigenze organizzative, produttive e di sicurezza sul lavoro, previo accordo con le rappresentanze sindacali presenti in azienda, in mancanza della quale il datore aveva comunque la possibilità di avanzare una istanza all’Ispettorato provinciale del lavoro.
L’intervento del legislatore, in riforma dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori, è atto a chiarire le diverse statuizioni della giurisprudenza di legittimità sui cosiddetti controlli a distanza “difensivi”: recentemente, anche la Suprema Corte di Cassazione ha sancito che, in materia di controlli a distanza, le garanzie poste dall’art. 4 dello statuto si riferiscono ai controlli c.d. “difensivi”, cioè volti ad accertare l’esatto adempimento, da parte del lavoratore, delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro e non la tutela di beni giuridici estranei al rapporto stesso: pertanto è da ritenersi legittima la condotta del datore di lavoro volta ad accertare inadempienze del lavoratore, dalle quali derivino pregiudizi per l’azienda di cui è dipendente.
Si cerca, pertanto, un equilibrio tra l’interesse del datore di lavoro a non vedere compromesso il livello produttivo della propria azienda ed il diritto del lavoratore alla propria dignità nel luogo ove si svolge la sua attività lavorativa, individuando, come anche affermato dalla Suprema Corte, una precisa procedura esecutiva e gli stessi soggetti partecipi.
Sul punto, la norma detta i criteri in base ai quali differenziare gli strumenti potenzialmente in grado di controllare a distanza il lavoratore, il cui utilizzo non è necessario ai fini dell’espletamento dell’attività lavorativa, da quelli, invece, utilizzati dal lavoratore per la propria attività lavorativa: in altre parole, il legislatore ha ampliato le ipotesi in cui si può ricadere nel controllo a distanza, comprendendo nella novella gli “altri strumenti”, che il legislatore del 1970 non poteva prevedere.
Ai fini dell’installazione di tali strumenti, è prevista la necessità di un accordo tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali presenti nelle diverse unità produttive aziendali, con l’ulteriore specificazione che, in mancanza dello stesso, il datore deve richiedere apposita autorizzazione alla DTL competente territorialmente; tale procedura è prevista anche per quanto riguarda le grandi aziende, che potranno interloquire con le rappresentanze sindacali a livello nazionale e, in caso di mancato accordo, richiedere la citata autorizzazione direttamente al Ministero del Lavoro.
Merita di essere altresì specificato che la ragione della installazione di tali apparecchiature deve derivare esclusivamente da esigenze produttive, di sicurezza sul lavoro e di tutela del patrimonio aziendale e che le informazioni assunte per il tramite di tali strumenti devono essere utilizzate nel pieno rispetto della disciplina sulla privacy, di cui deve essere data preventiva informazione al lavoratore, e possono essere utilizzati per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, così come disposto dal comma 3 dell’art. 4 così come modificato. In merito a quanto sopra esposto, a parere dello scrivente, andrebbe specificato se, nei fini connessi al rapporto di lavoro rientrino anche le procedure strettamente disciplinari, poiché in tal caso si avrebbe un ampliamento dei poteri del datore di lavoro con aumento del rischio di provvedimenti del tutto arbitrari.
Infine, sarebbe altresì auspicabile un’opera di rinnovazione, da parte delle aziende, dei rispettivi mansionari e dei regolamenti di utilizzo di tutti gli strumenti utilizzati dai lavoratori per esercitare le loro mansioni, al fine di dare applicazione ad alcuni dei principi fondamentali sanciti in materia di privacy, nell’ottica di una più ampia tutela del lavoratore nei confronti di un controllo potenzialmente illimitato.