Il Consiglio di Stato boccia la posizione del governo Renzi sul nuovo Isee:  l’indennità di accompagnamento per i disabili non può essere conteggiata come reddito. La scorsa primavera l’esecutivo si era appellato ai giudici amministrativi in seguito alle sentenze del Tar del Lazio che avevano accolto i ricorsi delle associazioni dei portatori di handicap contro il nuovo sistema di calcolo che somma le pensioni di invalidità al reddito.
“La cieca e dannosa politica governativa, espressione di una cultura ragionieristica lesiva di diritti costituzionalmente garantiti, ha trovato uno stop importante in questa sentenza che ha reso giustizia alle persone con disabilità e alle loro famiglie stabilendo che le provvidenze assistenziali previste per la disabilità non debbano essere valutate come reddito”.
Queste le parole di Giovanni Scacciavillani, responsabile nazionale dell’Ufficio Politiche per la Disabilità Ugl , in merito alla decisione del Consiglio di Stato. “Ci auguriamo che a questo punto il Governo prenda atto di aver imboccato una strada sbagliata che  – precisa il sindacalista  – rischia di indebolire ulteriormente strati della nostra società sull’orlo del collasso e possa varare nuove, vere politiche sociali a difesa dei più deboli, orientando le cesoie verso gli sperperi e i santuari del potere dove esistono ingiustificate rendite di posizione”.
Nello specifico nella sentenza si evidenzia che «il collegio deve condividere l’affermazione degli appellanti incidentali quando dicono che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – e i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una remunerazione del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l’art. 3 della Costituzione”.

Il Consiglio di Stato conferma quindi quanto già sentenziato dal Tar del Lazio, il quale aveva respinto “una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscali: in sintesi, le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito. E argomenta così il Consiglio di Stato, in merito alla questione di indennità e reddito: “Non è allora chi non veda che l’indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all’accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un’oggettiva e ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d’inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale.
Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest’ultimo e a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa”.
“Una vittoria di quanti, come la Ugl, –  conclude Scacciavillani – si sono battuti per evitare che la concezione governativa potesse precludere alle persone con disabilità di usufruire di servizi pubblici forniti in base al reddito delle famiglie. Una cocente sconfitta del Governo e di quelle realtà associative che ne hanno sostenuto l’orientamento con una visione non reale dei problemi, dimenticando che i trattamenti assistenziali non sono una remunerazione dello stato di invalidità, come un qualsiasi lavoro, ma semplicemente un sostegno alla persona con disabilità”.