di Marco Colonna

“Il Jobs Act sta fallendo nei suoi obiettivi principali: promuovere l’occupazione e ridurre la quota di contratti temporanei e atipici”: a tracciare un giudizio così pesantemente negativo della riforma del lavoro promossa dal governo Renzi non è il sindacato o una forza politica d’opposizione.

A liquidare questa fase di avvio delle nuove norme è un progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea , uno studio (dal titolo: “Labour market reforms in Italy: evaluating the effects of the Jobs Act”) elaborato da tre ricercatori italiani (Marta Fana, dell’Institut des hautes etudes politiques de Paris, Dario Guarascio e Valeria Cirillo della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa ) per conto di Isi Growth , laboratorio europeo di studi economici che riunisce ricercatori provenienti da otto istituzioni internazionali.

Tre gli indicatori negativi dei flussi del mercato del lavoro censiti in Italia fino al mese di dicembre 2015: la transizione verso l’occupazione è più bassa della media europea (16,1% vs 18,6%) , solo il 20% dei nuovi assunti ha un contratto a tempo indeterminato e per contro aumenta la precarietà con la transizione dalla disoccupazione all’inattività al 35,7%.

Un altro elemento del Jobs Act – emerso chiaramente nella ricerca Europea – deve far riflettere: i contratti part-time sono più diffusi all’interno dei nuovi contratti stabili che in quelli a termine e il part-time involontario (cioè imposto dal datore di lavoro, piuttosto che richiesto dal lavoratore) incide per il 64,6% sul totale dell’occupazione part-time.

Questo insieme di situazioni evidenzia il chiaro “fallimento del Jobs act del governo Renzi nello stimolo dell’occupazione” in Italia nonostante gli incentivi fiscali per le nuove assunzioni , confermato dall’uso massiccio dei contratti a termine (il 63% dei nuovi lavoratori nei primi nove mesi del 2015 ha un contratto a termine) e mostra “l’ulteriore liberalizzazione del lavoro atipico, con una continua espansione dell’uso dei voucher” anche ai tempi del Jobs act.
La prova? Oltre 81 milioni di buoni lavoro sono stati venduti nei primi nove mesi del 2015, con una crescita annuale del 70%.

Questa tendenza è confermata da altri studi.
Il report mensile (gennaio 2016) dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps segnala come, a fronte di una seppur parziale crescita del posto fisso, aumenta soprattutto la richiesta di flessibilità: nei primi 11 mesi del 2015 si è assistito a un exploit dei voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio.
E l’indagine dell’Osservatorio di Assolombarda in collaborazione delle Agenzie per il lavoro del Nord Italia che conferma (a febbraio 2016) la richiesta in aumento di occupazione sempre più flessibile e il vero e proprio boom della domanda di lavoro interinale di durata temporanea : aumentata del 32% nell’ultimo trimestre rispetto allo stesso del 2014, registrando un aumento addirittura dell’82% rispetto a fine 2013.

Ultima nota negativa emersa nello studio commissionato dalla Commissione Europea : è un dato di fatto che i nuovi assunti con il contratto a tutele crescenti guadagnino uno stipendio mensile mediamente più basso (dell’1,4%) rispetto a quanti assunti un anno prima con il vecchio contratto a tempo indeterminato.

Mentre – oltre al dilagare dei nuovi contratti temporanei e flessibili – pende sempre sulla pelle dei lavoratori come una scure la possibilità prevista nel Jobs Act , con il contestato addio all’articolo 18, dei licenziamenti più facili.