di Barbara Faccenda

L’Europa come struttura ordinata, sensibile, con una sicurezza misurata, è estremamente sotto pressione oggi. Prima di analizzare le vere sfide a cui è sottoposta l’Unione, vale la pena soffermarsi un istante in quello che molti percepiscono come il vero problema e cioè la sospensione dell’Accordo di Schengen. In verità non si parla di sospensione, ma di “ripristino dei controlli alle frontiere”. Secondo la procedura per l’applicazione dell’art. 2 dell’Accordo, – l’attraversamento delle frontiere interne in ogni punto senza controlli sulle persone – il paragrafo 2 dello stesso articolo, statuisce che quando: “l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale lo richiedono uno stato Parte può, dopo aver consultato le altre Parti Contraenti decidere, per un limitato periodo, di ripristinare i controlli. Il reinserimento dei controlli deve rimanere una misura di eccezione. Se l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale richiedono un’azione immediata, la Parte Contraente interessata deve prendere tutte le misure necessarie e alla prima occasione utile informare le altre Parti Contraenti”.
Inoltre, nella procedura di applicazione dell’art. 2, 2 alla lettera c) si statuisce che lo Stato in questione deve specificare la data in cui si applica e la probabile data di durata della misura anche se si tratta della procedura per un’immediata decisione.(http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cmsUpload/SCH.ACQUIS-EN.pdf). L’Italia sospese “Schengen” in due occasioni: 14 – 21 luglio 2001, durante il G8 di Genova e 28 giugno – 15 luglio 2009, durante il G8 dell’Aquila. La Germania, lo ha sospeso dal 26 maggio al 15 giugno 2015a seguito del G7 tenuto a Garmisch-Partenkirchen.
Tuttavia è necessario allargare lo sguardo e come ogni problematica inerente alle relazioni internazionali individuare le oggettive realtà complesse da cui emanano poi le singole questioni. Non si può pensare di risolvere unasituazione complessa all’interno delle frontiere europee quando la sua causa risiede al di fuori di esse. Dunque riassumiamo le principali sfide che deve affrontare l’Unione Europea in questo momento storico, essenzialmente in 5 punti.
La prima sfida: il caos che ha avvolto il Medio Oriente, soprattutto la Siria. Il flusso di circa 10 milioni di rifugiati, di cui circa 1 milione ha trovato la via verso l’Europea è in cima alla lista delle priorità dell’Unione Europea. In aggiunta a questo l’instabilità dell’Africa sub – sahariana, che sta creando un ulteriore flusso migratorio verso l’Europea. Il fallimento di creare qualsiasi tipo di stabilità nella Libia post- Gheddafi ha creato un altro fronte migratorio. Il numero di rifugiati si stima che si duplichi per la prossima estate, ponendo una drammatica tensione sociale in Europa specialmente nell’idea delle“frontiere aperte”.Va poi aggiunto il carattere opportunistico delle relazioni tra gli stati membri dell’UE, palesato dalla mossa dell’Austria di limitare il numero dei migranti, vale a dire meno in Germania. Il governo austriaco, una grande coalizione di social democratici e di conservatori simile alla Germania, fronteggia una pressione politica domestica affinché si adotti una linea più dura sulla questione dei migranti ed ha preso la sua decisione anche con un occhio alle realtà economiche. La Germania è di gran lunga il più grande partner commerciale dell’Austria. La frontiera aperta tra i due paesi è al centro di uno dei corridoi economici più vibranti dell’Europa. Per cui restringendo la sua frontiera con la Slovenia, l’Austria ha ridotto la pressione che la Merkel stava affrontando nel suo stesso partito in relazione alla risposta al flusso di migranti.
La seconda sfida, associata strettamente con la crisi dei rifugiati, è la crescita dell’ISIS. Una organizzazione formidabile nel trovare finanziamenti con una eccezionale capacità di promuoversi e di reclutare. Il loro nuovo modello di pro – stato nei territori che controllano e organizzazione transnazionale nella proiezione esterna confonde gli schemi di sicurezza europei e mina la fiducia nel modello politico dell’Unione Europea.
C’è la sfida russa in Ucraina. Malgrado le sanzioni e gli sforzi collettivi di trovare una soluzione diplomatica, le tensioni tra la Russia ed il resto d’Europa sono palpabili e non svaniranno tanto semplicemente. Mentre l’Ucraina si sta avvicinando a grandi passi all’essere un altro “frozen conflict”, attacchi sporadici, violazioni delle frontiere e il potenziale di alti livelli di violenza presentano una sfida per l’intera regione.
Se ci si sposta a Nord, c’è tensione nell’Artico. Dei principali paesi dell’Artico e membri del Consiglio dell’Artico, la maggioranza: Danimarca, Norvegia, Islanda, Svezia e Finlandia è dell’Europa. Neglianni passati si è visto un incremento nel livello della militarizzazione in una regione delicata e altamente strategica, incluso nuove basi russe e pattugliamenti crescenti. Da sole le condizioni climatiche, gli alti costi e le priorità dei paesi in competizione, rendono improbabile che ci sia veramente un significativo aumento della militarizzazione. Nondimeno, la questione deve essere aggiunta aicrucci della sicurezza europea.
Un altro tema non spesso discusso è il crescente senso di vulnerabilità ai cyber attack. Potenziali minacce corrono lungo la rete di attività cyber criminali;sono necessari strumenti che possano consentire agli stati l’uso dimezzi appropriati per contrastare gli attacchi cyber. È benericordare che, recentemente, lospegnimento degli impianti elettrici in Ucraina in una significativa porzione, è uno dei tanti risultati della cyberwar.
L’economia non va di certo a gonfie vele: la situazione in Grecia non è risolta e c’è un declino demografico in molte parti del continente.
Cosa fare?
Il pilastro centrale della sicurezza deve rimanere la NATO e l’insana “competizione” tra NATO e UE dovrebbe fermarsi e essere rimpiazzata da strumenti sensibili di divisione dei compiti, missioni e competenze. Bisogna trovare nuove zone di cooperazione nei confronti della Russia. Un lavoro politico – diplomatico in Siria, il coordinamento sulla crisi dei rifugiati, cooperazione contro il traffico di narcotici, contro – terrorismo e considerare l’espansione dell’anti pirateria nel golfo di Guinea, magari sul modello della NATO/UE e cooperazione russa nel Corno d’Africa. Tutte queste pressioni: economiche, demografiche, geopolitiche, sono enormi e richiedono una forte leadership, strategie di comunicazione stabili e attagliate alle popolazioni dei paesi membri che diventano sempre più nervose. La forte leadership non è il risultato di sterili battibecchi tra Renzi e Junker, ma vuol dire offrire un contributo qualificato, deciso, professionale su queste pressioni. Ci vogliono gli esperti e non i politicanti, le dinamiche geopolitiche in questo momento storico non lasciano spazio per le marchette, se l’Italia volesse ricoprire il ruolo di forte leadership, dovrebbe mettersi in testa che l’Europa non è una rappresentazione teatrale dove va in scena l’accaparramento del consenso elettorale in patria, si battono i pugni come stato fondatore dell’Unione solo se si investe nel capitale umano dei tanti professionisti ed esperti italiani nei vari settori. Ci vuole il coraggio di abbandonare il tuttologo e di far sedere a Bruxelles, quotidianamente, i migliori esperti italiani, allora sì che faremmo una qualche differenza.