Prezzi al consumo stabili nel mese di dicembre, una variazione nulla rispetto a novembre 2015 e un aumento dello 0,1% su dicembre 2014.
Lo rivela l’Istat aggiungendo che l’inflazione ha mostrato nel primo trimestre del 2015 un profilo in deflazione scendendo a -0,3% (da +0,1% del quarto trimestre 2014) per poi azzerarsi nel secondo trimestre, registrare una ripresa nel terzo (+0,2%) e proseguire su valori positivi, seppure in rallentamento, nel quarto trimestre (+0,1%)”. Nella media del 2015, sottolinea l’Istituto di statistica, “è scesa allo 0,1%, in rallentamento di un decimo di punto percentuale rispetto al 2014”.
“Di fronte alla deflazione – sostiene il segretario generale dell’Ugl, Francesco Paolo Capone – ad un altrettanto irrisorio prezzo del petrolio, bisognerebbe da parte di tutti smettere di commentare l’andamento dei singoli indici economici a suon di propaganda, dando avvio ad un serio e condiviso confronto sulla politica industriale da ‘affidare’ a lavoratori e imprese”.
La dinamica dei prezzi al consumo nel 2015 riflette principalmente, secondo l’Istat, “gli effetti della prolungata flessione dei costi delle materie prime – in particolare di quelle energetiche – e dei beni di importazione che si combinano con la persistente debolezza dei consumi delle famiglie, che nel 2015, hanno però dato dei segnali di ripresa. Ciò ha comportato sia un’accentuazione della flessione in media d’anno dei prezzi dei beni sia un rallentamento della crescita nel settore dei servizi”, prosegue la nota. I prezzi, su base annua, del cosiddetto carrello della spesa sono invece passati a dicembre a +0,9% dal +1,3% di novembre. Anche in questo caso trovano conferma le stime preliminari già diffuse, mentre i prezzi di questi prodotti su base mensile registrano una diminuzione dello 0,3 per cento. I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto diminuiscono dello 0,2% su base mensile e sono stabili su base annua (era -0,1% a novembre).
Eppure, spiega Capone “i dati che provengono da più fonti, a cominciare dall’Istat, andrebbero non più osservati singolarmente ma analizzati secondo un’ottica di sistema al fine di trovare una soluzione strutturale, con cui contrastare anche eventi che, a partire dai problemi del settore Auto fino ad affrontare il nodo della sicurezza in Europa, sarebbero capace di ridurre in pezzi risultati migliori di quei pochi di cui l’Italia oggi può vantarsi”.
Per questo motivo “Governo, sindacati e imprese dovrebbero tornare a confrontarsi e a discutere per il bene comune e in primis per il Sud, individuando soluzioni di ampio respiro, innovative, tra le quali la riforma della contrattazione può essere un tassello ma non la chiave di volta, per non cadere nello stesso errore di prospettiva commesso dal governo Renzi con il Jobs Act che non riesce a contrastare la tutt’ora dilagante disoccupazione, mentre ha sicuramente deteriorato in termini di diritti il mondo del lavoro”.