di Barbara Faccenda

Il caso della diga di Mosul è significativo perché essa racchiude in sé il potenziale per essere utilizzata come una vera e propria arma di distruzione. Se controlli l’acqua in Iraq hai una presa su Baghdad. L’acqua è essenziale in un conflitto.Cerchiamo, quindi, di capire cosa è la diga di Mosul.
Inizialmente chiamata la “diga di Saddam”, la costruzione inizia nel 1980, il progetto serviva ad aumentare il supporto per Saddam Hussein durante il conflitto e promuovere il Ba’athismo. La diga fu costruita da un consorzio italo – tedesco guidato da HochtiefAktiengesellschaft, la stessa compagnia che progettò la diga di Aswan in Egitto qualcosa come 20 anni prima, utilizzata, similmente, dall’allora presidente dell’Egitto Gamal Abdel Nasser, per promuovere la sua ideologia pan – araba. La situazione politica nel Medio Oriente e nel Nord Africa è cambiata drammaticamente dal tempo in cui Hussein iniziò i lavori per la diga di Mosul. Che l’acqua sia uno dei maggiori obiettivi strategici ce lo dimostra l’Iran, quando,nella guerra Iran – Iraq il 22 novembre 1980, bombarda la diga di Dokan nel nord dell’Iraq.
La diga di Mosul si trova a circa 72,5 km a nord di Mosul sul fiume Tigri. La quarta diga più grande del Medio Oriente e la più grande dell’Iraq. Componente chiave dell’energia elettrica nazionale: 4200 megawatt di turbine generano 320 MW di elettricità al giorno.
L’idro – infrastruttura è stata uno dei loro principali obiettivi dell’ISIS.Agli inizi di agosto, le forze dell’ISIS presero il controllo della diga di Mosul, ed è per questo motivo che il 14 agosto Obama ordina attacchi aerei mirati specificatamente a riprenderne il controllo e mantenerlo.
Non è la prima volta che la diga di Mosul diventa il centro di un conflitto militare. Nel 2003 documenti ci rivelano come dopo l’invasione americana dell’Iraq, nello stesso anno, l’intelligence americana temesse che le forze irachene fedeli a Saddam Hussein avessero manipolato la diga con esplosivo. Pur rivelandosi un falso allarme, la preoccupazione maggiore era che popolazione curda nell’area potesse essere l’obiettivo di un’inondazione, cioè che la diga di Mosul venisse usata proprio come una vera e propria arma di distruzione. Furono i membri delle milizie curde che garantirono la sicurezza alla diga nei primi giorni della guerra, in una situazione estremamente stressante. Gli ispettori americani nel sito notarono che i lavoratori, quasi 500, operavano alla diga dall’inizio della guerra senza essere retribuiti ed incredibilmente gli operatori facevano funzionare la diga manualmente, dopo la cessazione dei controlli computerizzati.
Purtroppo la diga di Mosul anche senza sabotaggi vacilla sull’orlo del dissesto, a causa della mancanza di integrità strutturale. L’argine di terra della diga fu costruito di gesso leggero, un minerale che si dissolve quando è in contatto con l’acqua. Un complicato sistema di stuccatura riempie le crepe appena affiorano. Se, anche nel breve periodo, la diga non è mantenuta in buone condizioni, collasserebbe ed avrebbe degli effetti devastanti. Mosul si troverebbe sommersa da circa 20 metri d’acqua e Baghdad da 15 metri.
Mentre è in corso una gara d’appalto per i lavori di ristrutturazione e consolidamento della diga di Mosul, indetta dal governo iracheno, Renzi dichiara, in televisione, http://www.corriere.it/esteri/15_dicembre_15/iraq-renzi-450-militari-italiani-diga-mosul-trevi-appalto-93b624aa-a36b-11e5-8cb4-0a1f343ea988.shtmlche manderà 450 soldati a difesa della diga, i cui lavori sono stati aggiudicati all’impresa italiana Trevi. Una dichiarazione di propaganda che ha due effetti.
Il primo: il titolo della Trevi, dopo le dichiarazioni di Renzi, è rimasto sospeso il giorno dopo in borsa per mezza giornata per poi chiudere con un + 25% portandosi a 1,366 euro. Il secondo: essere smentito da più fonti del governo iracheno, perché la gara d’appalto non è chiusa. Il portavoce del governo di Baghdad, Saad al Hadithi, dichiara che sono in corso dei contatti per valutare la necessità di un eventuale accordo per l’invio di soldati italiani se e solo se, la società italiana Trevi dovesse aggiudicarsi l’appalto. Gli fa eco il ministro per le risorse idriche iracheno, Muhsin al Shammary, specificando chela Trevi ha presentato i documenti per partecipare alla gara. Il ministro Al Shammary, più pungente, asserisce che l’Iraq non ha bisogno di stranieri per difendersi, puntualizzando (proprio mentre riceve l’ambasciatore italiano in Iraq) che l’Iraq non ha bisogno di alcuna forza straniera per proteggere il suo territorio, i suoi impianti e la gente che ci lavora. Il ministro iracheno delle risorse idriche si unisce al coro aggiungendo che le forze irachene proteggono già la diga e sono sufficienti.
Alla domanda: “se la gara d’appalto la vincesse un’impresa diversa dall’italiana Trevi, l’Italia invierebbe i suoi soldati a difesa dell’idro – infrastruttura?”, risponde il ministro Pinotti, implicitamente. Dichiara, infatti, che prima ci deve essere l’assegnazione della commessa, poi la pianificazione secondo il ministero della difesa, l’audizione dal Copasir e poi, solo poi, l’invio dei soldati italiani.
Il punto significativo di questa vicenda lo troviamo racchiuso nella nota stampa del 16 dicembre del gruppo Trevi che dichiara di essere l’unica impresa qualificata in corsa per l’aggiudicazione dei lavori di manutenzione della diga di Mosul e che il processo di negoziazione dei termini e delle condizioni della commessa con il governo iracheno è nelle sue fasi finali. Va da sé che la dichiarazione di Renzi di mandare 450 soldati a difesa della diga e perciò dei lavori dell’impresa italiana, pone il gruppo Trevi in una posizione di vantaggio rispetto ai competitori che non offrono un “servizio di sicurezza” addirittura di soldati regolari di uno Stato.
La realtà, che forse Renzi ignora è che le imprese italiane esternalizzano la propria sicurezza alle Private MilitarySecurity Companies proprio come, in generale, fanno le imprese di altre nazioni, soprattutto in contesti ad alto rischio. Le aziende italiane, soprattutto del settore estrattivo ed energetico ricorrono all’impiego di security contractor per la protezione delle loro infrastrutture e del personale. Un esempio significativo è quello di ENI che dal 2009 ha realizzato un programma di formazione per la tutela dei diritti umani indirizzato ai manager della sicurezza, alle forze di sicurezza, pubbliche e private, in Egitto, Nigeria, Pakistan, Iraq, Repubblica Democratica del Congo e Angola.
Non è con dichiarazioni come questa che si combatte il terrorismo internazionale, facendosi smentire dai rappresentanti del governo iracheno e facendo salire il titolo in borsa di un’impresa italiana. Non è così che si proteggono gli interessi italiani all’estero. Non ci pare che Renzi abbia dichiarato l’invio di soldati in difesa delle infrastrutture delle imprese italiane in Libia. Per il terrorismo internazionale ci vuole una strategia ed in fretta, per la propaganda in fondo c’è sempre tempo.