Leggiamo con grave senso di stupore misto a incredulità, un articolo su Repubblica, dove vengono attaccati il principio che sta alla base delle “clausole sociali” e quei politici, Polverini e Damiano, già sindacalisti, che difendono il suo profondo valore sociale.

È davvero singolare, che quando si tratta di difendere la parte più debole di un tessuto sociale, quello dei lavoratori, già messi a dura prova con la riforma del lavoro del Jobs Act, mercato del lavoro spesso bistrattato da regole di un mercato globalizzato e che in nome del “libero mercato”, non rispetta i più elementari valori di civiltà ed eticità, si debba additare, come fosse un eretico, chi, con forte senso di responsabilità politica e civile, si impegna a tutelare il Diritto al lavoro, basandosi sul nobile spirito della nostra Costituzione.

Le tanto vituperate “clausole sociali” che imagetutelano i lavoratori di call center nel garantire loro continuità occupazionale nei cambi d’appalto e che prendono ispirazione dalla Direttiva europea 23/2001 in materia di appalti nei call center, rappresentano per 80000 famiglie garanzia di sostenibilità al lavoro e familiare: non parliamo di persone che sbarcano il lunario o di studenti universitari che si pagano gli studi. No!! Parliamo di donne e uomini, che col lavoro di call center hanno costruito il loro progetto di vita.

Professionisti, il cui know how viene gettato nella spazzatura, persa la commessa, dopo che per anni hanno lavorato su un determinato servizio, utile al cittadino, garantendone la qualità e soluzioni ai problemi: pensiamo ad esempio al complicatissimo mondo INPS e l’impatto sociale per i temi delicatissimi legati alla pensione, per esempio; pensiamo anche, di quanto risparmio godrebbe il fatturato di un’azienda, potendosi avvalere di professionisti già formati.

Ecco! Le clausole sociali, non solo garantiscono iimagel perimetro occupazionale a chi altrimenti perderebbe lavoro in un cambio d’appalto, tema non banale visto la percentuale di disoccupazione in Italia e le migliaia di vertenze al Mise per crisi aziendali, ma tutelerebbe il cittadino nel suo diritto ad essere soddisfatto da una professionalità acquisita e che altrimenti andrebbe persa.

Le clausole sociali, basandosi sull’art. 2112 del C.C., metterebbero ordine nella jungla delle gare d’appalto, indirizzate ormai al massimo ribasso: esempio eclatante è la gara Poste Italiane, i cui 4 lotti di forniture di servizi afferenti al call center, sono stati pre-assegnati ad un prezzo che arriva a toccare i 0,296 centesimi per minuto di chiamata, quando il prezzo di mercato nel rispetto del costo del lavoro, è di 0,42 centesimi al minuto: due sono gli scenari che si potrebbero sviluppare, o le aziende aggiudicatarie dei servizi falliranno non potendo pagare i contributi e stipendi, oppure, sono previsti integrazioni economiche extra. Storie già vissute in Infocontact, fallita per i progressivi ribassi sul prezzo e acquisita da un suo competitor, Abramo, e allo 060606 ChiamaRoma, servizio vinto da Abramo/Telecom, con uno sconto sul costo del lavoro pari al 33%, fatto salvo poi un’integrazione economica di 700mila euro. Il mercato dei call center è privo di regole e là dove ci sono, il Governo non le fa rispettare.

Prendiamo ad esempio le delocalizzazioni: la Legge 134/2012 art. 24bis, stabilisce, con tanto di sanzioni amministrative, che il cittadino quando chiama l’assistenza clienti debba essere messo nella condizione di poter scegliere, preliminarmente, di parlare con un operatore telefonico situato sul territorio nazionale.

Non accade mai, col serio rischio di compromettere i propri dati sensibili, laddove spesso i Paesi dell’Est Europa, non hanno leggi autoctone sulla tutela della privacy e dove spesso impera, la pirateria informatica.

Nonostante l’impegno preso dal Governo un anno fa con un’indagine conoscitiva, nell’ambito del tavolo tecnico sui call center, impegno preso nella persona del sottosegretario De Vincenti, abbia riscontrato delle anomalie in aperta violazione della legge, non ha provveduto a sanzionare i vari Committenti in difetto. Evidentemente, il potere “occulto” delle varie lobby, hanno avuto la meglio sui cittadini e lavoratori, impotenti contro certi poteri.
Ma perché quando si tratta di tutelare i poteri forti, BCE docet, lo si deve fare in nome dell’Europa e del buon senso, e quando si devono fare gli interessi dei cittadini, che sono l’Europa, invece, si è populisti?

Simone Bartolini