di Caterina Mangia

Ognuno di noi conosce tristemente la parola Isis. Non tutti invece sanno che cos’è Boko Haram.
Le due parole, che in lingua hausa significano “l’istruzione occidentale è peccato”, designano un gruppo estremista situato nel nord-est della Nigeria, alleato da marzo 2015 con lo Stato islamico e che ormai da anni – specialmente a partire 2011 – compie stragi abominevoTerrorismoli nel nome del jihadismo.
Nei terribili giorni in cui l’Isis a Parigi compiva il suo assalto alla redazione di Charlie Hebdo, Boko Haram uccideva migliaia di persone nella Nigeria settentrionale.
Pochi giorni dopo il 13 novembre, data dell’assalto di Daesh alla capitale francese, due bombe di Boko Haram uccidevano 49 persone e ne ferivano 130 in due diverse città.
Secondo il Global Terrorism Index curato dall’Università del Maryland, l’organizzazione terrorista vanta un macabro primato e – incredibile ma vero – nel 2014 ha sorpassato Daesh per numero di vittime: 6.664 persone lo scorso anno sono state uccise per mano degli affiliati di Boko Haram. (Vedi link a Cnn)
Eppure, poco si parla dei loro crimini.
Anche oggi gli jihadisti hanno mietuto delle vite: in seguito a un attacco nel villaggio di Kamuya sono morte almeno 14 persone. La conta dei decessi ha una cadenza quasi quotidiana.
Fondato nel 2002 da Mohamed Yusuf e guidato oggi da Abubakar Shekau, il gruppo è nato a Maiduguri, capoluogo del Borno, al Nord-est della Nigeria, dove sono state fondate una scuola e una moschea. Come spesso avviene, gli indottrinamenti hanno purtroppo coinvolto le fasce più povere, disperate e giovani della popolazione. L’obiettivo, creare un califfato in Nigeria. I metodi, feroci: non vengono risparmiati gli anziani, le donne e i piccoli. Alcuni attacchi terroristici sono stati realizzati imbottendo delle bambine di esplosivo. Anche i numeri sono spaventosi: da quando è stato fondato, Boko Haram ha ucciso più di 17mila persone; a causa delle sue azioni sono 2 milioni e 200mila gli sfollati; il bilancio delle vittime nel 2014 è salito del 300 per cento rispetto all’anno precedente.
Nell’aprile 2014 il gruppo jihadista ha rapito 300 studentesse in una scuola – gli istituti educativi sono tra gli obiettivi preferiti dell’organizzazione – per venderle come mogli. Di più di 200 di loro si sono perdute le tracce. Dopo una grande mobilitazione su Twitter e una campagna online con l’hashtag #bringbackourgirls, il destino di queste ragazze è finito nel dimenticatoio.
Non c’è da sorprendersi se la conoscenza delle azioni perpetrate da questo gruppo terrorista non è diffusa capillarmente; anche le notizie riguardanti il massacro degli yazidi da parte dell’Isis – che ha ucciso, rapito, reso schiava e sepolto viva quella popolazione – non sono state in primo piano sui nostri media e non hanno avuto un impatto prioritario sulle coscienze e sull’opinione pubblica.
L’errore che la società civile e gli organi di informazione “occidentali” spesso commettono è quello di dar voce all’idea che ciò che avviene lontano da noi non ci tocchi; si trascura il fatto che in un mondo globalizzato come quello di oggi un fenomeno “locale” si possa facilmente trasformare in un problema generale, come dimostrato platealmente dal fenomeno dei foreign fighters e del terrorismo internazionale.
Il secondo – vero, imperdonabile errore – è quello di pensare che nel mondo ci siano morti di serie A e morti di serie B.