di Mario Bozzi Sentieri 
Lo si era visto  in occasione del ballottaggio per le presidenziali francesi, allorquando Marine Le Pen era stata accolta dagli applausi  nelle zone ad  alta densità operaia, laddove il suo avversario, interessato ai consigli d’amministrazione, si era  beccato più di qualche bordata di fischi.
Il voto ha confermato la tendenza:    gli operai anche nel ballottaggio hanno continuato a preferire il Front National  con il 56% contro il 44%. Emmanuel Macron, invece, ha vinto tra gli impiegati (54%), i pensionati (74%) e i quadri (82%).
Non c’è però solo la simpatia delle tute blu verso la Le Pen  a fare emergere  il nuovo orientamento operaio, sottolineato  da Dario Di Vico sul “Corriere” . Lo si era già visto negli Stati Uniti, con il voto a favore di Donald Trump, ed ancora nell’Inghilterra della Brexit. Ora – come conferma  una serie significativa di sondaggi – la tendenza dilaga anche nel nostro Paese.
Secondo le rilevazioni di Ipsos alla voce «operai» in testa c’è  il Movimento 5 Stelle con il 40,3% dei consensi, seconda la Lega con il 19,6% (a cui si affianca FI con il 10,8% e FdI con il 3%) e solo al terzo posto arriva il  Pd con un misero 18,1%. Meno della metà dei grillini. Se si sommano  tutte le sinistre alternative (dalemiani, verdi, ex vendoliani, Rifondazione e Idv) ne ricaviamo un altro 5,3% che comunque farebbe salire un ipotetico fronte unito delle sinistre solo al 23,4%, sempre lontanissimo dai 5Stelle e distaccato dalle forze di  centrodestra che raccolgono, in totale,  il 33,40% dei consensi operai.
Per la sinistra è un’autentica debacle. E le cause hanno una portata che non è eccessivo definire “epocale”.
Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di Ipsos Italia, commentando il sondaggio ha dichiarato: «Il divorzio tra sinistra e operai in Italia non si manifesta per la prima volta con l’avvento di Grillo. Ricordo un’indagine del Sole 24 Ore, diretto allora da Gianni Riotta, che titolò “Gli operai votano a destra”, a dimostrazione di come il forzaleghismo avesse ampio seguito in fabbrica». Quanto all’oggi Pagnoncelli vede una grande differenza tra le tute blu delle grandi aziende e quelle delle Pmi. «Dove ci sono meno mediazioni sindacali e meno filtri  prevale l’aspetto più emotivo, le  tendenze individualiste hanno la meglio sul vecchio solidarismo. Aggiungo che l’intero corpo sociale è indistinto negli orientamenti, una volta era più facile individuare la linea di demarcazione delle classi sociali».
A venire meno – aggiungiamo noi –  sono state certamente le storiche appartenenze ideologiche, quella sorta di orgoglio classista, che – di padre in figlio – ha segnato la Storia sociale e politica del nostro Paese e non solo. Ma ci sono evidentemente anche le nuove “emergenze”, le nuove “domande sociali” a cui la sinistra, vecchia e nuova, non sembra essere in grado di dare risposte adeguate. A cominciare dal tema tutt’altro che banale della globalizzazione e delle delocalizzazioni, per poi passare alla crisi dello Stato Sociale, oggi costretto a fare i conti con un’immigrazione che oggettivamente penalizza i proletari “interni” rispetto a quelli d’importazione;  all’insofferenza verso l’integrazione europea;  al venire meno della conflittualità “di classe”, sfarinata dalla parcellizzazione sociale e dai contratti a termine.
Rispetto a questa insofferenza diffusa bisogna registrare una certa carenza di lettura da parte dei mass media, insieme ad una  disorganicità nelle risposte.  Vince certamente la protesta. E non a caso, in vetta al gradimento politico degli operai  , c’ è un movimento come il 5Stelle a forte tendenza protestataria. Nello stesso tempo sembrano però ancora sfumate le risposte in grado di fare passare questo nuovo movimento sociale dalla fase della  protesta a quello della  proposta. Oltre il vecchio classismo ci può essere insomma molto di più che l’individualismo di massa. Bisogna cominciare a lavorarci, sulla strada di una nuova responsabilità sociale tutta da costruire. Per dare a questo operaismo “di destra” indirizzi e prospettive autentiche.