I tecnici delle Camere hanno sollevato dei dubbi sulla riforma del pubblico impiego, in particolare sull’allungamento dei tempi delle sanzioni e sui tetti non invalicabili. Immediata, tramite le agenzie di stampa, la riposta del ministero della Funzione pubblica che punto per per punto prova a dissipare i rilievi evidenziati dai tecnici del Parlamento.
Per le sanzioni sostengono la necessità di una valutazione in merito “al carattere non perentorio del termine massimo di durata del procedimento disciplinare, nonché il suo prolungamento”, alla luce del mandato conferito dalla delega  che parlava di accelerazione e certezza dei tempi.
Nel dossier del Parlamento si stabilisce che vizi formali,  come ad esempio “la violazione dei termini delle disposizioni”, non determinano la decadenza dell’azione da cui può derivare anche il licenziamento. C’è inoltre la questione della “estensione” della scadenza per portare a conclusione il procedimento e infliggere sanzioni: “da 60 giorni (previsti dalla normativa vigente) a 90 giorni”.  Quanto alla forza dei nuovi limiti di tempo, “le modifiche proposte dal provvedimento comporterebbero la trasformazione dei termini del procedimento disciplinare da perentori a (meramente) ordinatori”.
Un altro dubbio riguarda “la possibilità di ‘violare’ le disposizioni del procedimento senza che ciò infici la validità degli atti”, in questo caso secondo i tecnici di Camera e Senati “appare opportuno valutare se la discrezionalità dell’amministrazione non rischi di risultare eccessiva, trovando l’unico limite nella ‘irrimediabile compromissione del diritto di difesa’ del dipendente”.
Nelle violazioni che non determinerebbero l’invalidità di atti e sanzioni rientrano anche “quelle che riconoscono diritti al dipendente per l’esercizio della difesa”, come “il diritto al differimento, per una sola volta, dell’audizione a difesa”, o “il diritto di accesso agli atti istruttori”, o ancora “il diritto di assistenza da parte di un procuratore o di un rappresentante dell’associazione sindacale di appartenenza”.
Quasi immediata, dalle agenzie di stampa, la risposta del ministero: “La riforma del pubblico impiego imprime una stretta su quei dipendenti che per sfuggire alle sanzioni puntano a far scattare vizi formali, violazione di termini o di altri cavilli giuridici”. Spiegano da palazzo Vidoni che “i termini dell’azione disciplinare restano perentori, solo che la loro trasgressione per vizi solo formali non può comportare la decadenza dell’azione disciplinare e l’annullamento della sanzione”. Ovvero il giudice non può far saltare tutto – sottolineano dal ministero – per ragioni che non hanno a che vedere con il merito della violazione commessa e della sanzione da irrogare (ad esempio perché il dipendente chiede rinvii dilatori o si sottrae alla notifica degli atti). Per il ministero, nella riforma  viene garantito il diritto di difesa del dipendente pubblico e il principio di tempestività dell’azione disciplinare, che resterebbero invalicabili per espressa previsione di legge.
Quanto ai tempi, rispetto alle regole attuali, le scadenze vengono unificate nel termine unico di 90 giorni per ragioni di maggiore certezza. Quindi, i tempi sono allungati solo con riferimento alle sanzioni più lievi, per i quali oggi il termine è di 60 giorni, mentre vengono ridotti per le sanzioni più gravi, dalle sospensioni più lunghe al licenziamento, per i quali il termine scende dagli attuali 120 giorni ai 90 giorni previsti nel decreto. Tale omologazione è finalizzata – hanno spiegato dal ministero – a dare maggiore certezza all’azione disciplinare. Inoltre dalla Funzione pubblica si sottolinea come finora le commissioni che hanno esaminato il testo non abbiano riscontrato criticità su tempi e modi dei procedimento.