di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

A dimostrazione che, al di fuori del circuito canonico ormai sempre più prigioniero dei propri dogmatici cliché ottusamente “antisovranisti”, esiste un vivace dibattito intellettuale attorno alle principali questioni politiche ed anche filosofiche dei nostri tempi, c’è l’interessante intervista di Luca Telese a Giulio Tremonti, pubblicata oggi su Panorama. L’economista ed ex ministro decide di non intromettersi nelle questioni nazionali e di non parlare del governo attualmente in carica in Italia, preferendo un’analisi complessiva sulla crisi del modello di globalizzazione fondato sulla visione neoliberista, crisi che riguarda l’intero Occidente e che ha investito anche e non solo il nostro Paese. C’è da dire che le riflessioni di Tremonti non sono estemporanee né, tantomeno, sorte a crisi ormai già esplosa: da molti anni il professore è impegnato in uno studio costante sulla società contemporanea, sui rapporti fra politica ed economia, sulla necessità di ripristinare il primato della prima sulla seconda e quindi di ridimensionare e ridefinire il ruolo della finanza, dati i problemi scaturiti dal suo dominio per anni incontrastato, sulle paure e sulle speranze, per citare il più noto fra i suoi libri, che hanno riportato in auge termini che sembravano ormai cancellati dalla storia,  nazione, popolo, identità e perfino spiritualità, come possibili antidoti al cosmopolitismo finanziario che ha prodotto sradicamento e povertà. Come tutte le analisi, certo quella di Tremonti può essere o meno condivisa, ma resta il fatto che – nonostante la narrazione dominante voglia il “populismo” espressione della parte più rozza della popolazione, animata solo da bassi istinti – per trovare approfondimenti sui problemi e conseguenti tentativi di individuare soluzioni, non occorre andare troppo lontano, ideologicamente parlando, dalla compagine gialloblu. Al contrario, si potrebbe dire che se a molta cultura mainstream non è rimasto che il compito ingrato e anche piuttosto svilente di interpretare il ruolo di difensore d’ufficio del globalismo e dello status-quo, anche a danni fatti e crisi manifesta, sminuendo lo stesso valore, necessariamente critico e visionario, dell’intellettuale degno di questo nome, il fermento delle idee si è spostato altrove. Possono anche non piacere, ma le riflessioni su un possibile nuovo stato sociale post informatizzazione e robotizzazione, su soluzioni alternative al dogma insostenibile della crescita infinita, sui lati chiari e partecipativi e scuri e manipolativi del web, non hanno trovato spazio a sinistra e si sono rifugiate nel mondo dei 5 stelle. Così come le considerazioni sui limiti politici ed etici da imporre necessariamente all’abbattimento di ogni confine in nome dei soli valori del mercato e del denaro non hanno trovato ascolto che nel mondo identitario oggi rappresentato dalla Lega.