di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

In questi giorni, abbiamo letto sui giornali delle ricostruzioni che, alla vigilia delle decisioni del Consiglio dei ministri sul Documento di economia e finanza, ci hanno preoccupato notevolmente. Nel Movimento 5 Stelle (anche se poi il ministro del lavoro e leader della formazione politica, Luigi Di Maio, ha provato a rassicurare, seppur un po’ tardivamente, visto che qualche bue era comunque già scappato dalla stalla), qualcuno avrebbe avanzato la proposta di porre fine anticipatamente alla sperimentazione triennale di Quota 100. E tutto questo per dare una risposta a qualche organismo internazionale o a qualche economista nostrano che continua a pontificare sui costi di una misura che, prima che economica, è sociale. Non scherziamo con il fuoco, verrebbe da dire, perché la storia più o meno recente del nostro Paese è piena di carte cambiate in corso d’opera, dalla sera alla mattina. Il caso più clamoroso è quello della riforma del dicembre del 2011 targata Monti-Fornero che, non a caso, ha causato il più grande sconquasso sociale che l’Italia ricordi. L’innalzamento repentino dell’età pensionabile e la mancata o la parziale valorizzazione dell’anzianità contributiva hanno prodotto il fenomeno degli esodati. Soltanto i paletti messi ad arte dal legislatore, unitamente ad interpretazioni molto restrittive da parte dell’Inps, hanno circoscritto la platea a poco più di 170mila unità a fronte di una previsione iniziale, fornita dallo stesso Istituto, più vicino alle 400mila unità che alle 300mila. Il costo economico degli esodati è stato nell’ordine dei 12 miliardi di euro, il doppio di quanto oggi è stanziato per Quota 100. Senza peraltro dimenticare che nel conto complessivo vanno aggiunti gli stanziamenti per l’Ape sociale, la misura sperimentale introdotta dal governo Gentiloni (oggi prorogata fino al prossimo 31 dicembre) che ha provato a mettere una toppa su un sistema che, giorno dopo giorno, si è mostrato sempre più iniquo, rigido ed incapace di favorire il ricambio generazionale nel mondo del lavoro. Con tutto il rispetto che abbiamo per ogni professione (una Confederazione sindacale è chiamata a tutelare tutte le categorie di lavoratori, nella loro specificità), però è facile per un economista che magari vive fra Roma, Milano, Bruxelles e Washington dire che non si può andare in pensione troppo presto. Anzi, lavorare fino a 70 anni è possibile e doveroso. Non chiediamo a questi economisti di parlare magari con l’autista di un mezzo pubblico, perché difficilmente ne prendono uno; però, parlassero con il conducente del taxi o interrogassero la hostess o lo steward sull’aereo cui salgono. O ancora, chiedessero all’operaio che sta aggiustando una tubatura della fognatura al freddo o al caldo, sotto il loro ufficio, nel quale il comfort è sempre assicurato. Ne uscirebbero illuminati.