di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Oggi è stato pubblicato il primo editoriale di Carlo Verdelli, che ha preso il posto di Mario Calabresi al timone de La Repubblica. L’impressione è che, cambiata la firma, sia rimasta la solita solfa. Le analisi politiche del quotidiano dell’intellighenzia progressista, continuano, infatti, a fermarsi allo sconcerto. Di fronte alla vittoria degli avversari politici, ormai avvenuta quasi un anno fa e che quindi avrebbe dovuto essere abbondantemente metabolizzata e approfondita, non c’è che disorientamento e incredulità. Dallo smarrimento il passo verso la demonizzazione dell’avversario è breve e presto fatto. La sintesi dell’autopresentazione del nuovo direttore è infatti la seguente: quando governava la sinistra andava tutto bene e se ora è all’opposizione l’unica spiegazione plausibile è che gli italiani siano impazziti o meglio incattiviti. Qualche esempio. I dati economici negativi dipendono dai gialloblu, che essendo cattivi spaventano gli investitori solo con la loro stessa presenza, non da anni di ricette sbagliate, in cui si cresceva poco quando tutti crescevano tanto, ai quali ora si aggiungono gli effetti della crisi dei dazi. Le politiche sociali di prima funzionavano, non ammetterlo è pura cattiveria e il fatto che la povertà e le diseguaglianze crescessero costantemente non conta, invece quelle appena approvate sicuramente non funzioneranno. Salvini e Di Maio vogliono azzerare i vertici di Bankitalia e Consob non per gli scandali bancari e i conseguenti necessari salvataggi miliardari a spese dei contribuenti, ma sempre perché sono cattivi. Se si cerca finalmente di regolamentare un flusso migratorio che fino a pochi mesi fa era incontrollabile, alla fine se ne era accorto persino Minniti, è sempre fondamentalmente per cattiveria. Se qualche delinquente fa scritte ingiuriose contro un ragazzo straniero la colpa non è sua, ma sempre della cattiveria collettiva. Per dovere di cronaca, pochi giorni fa a noi è successo lo stesso, con i muri della nostra sede di Genova ricoperti di insulti vergati con lo spray, ma sappiamo che si tratta di qualche esaltato e non ce la prendiamo di certo con l’intera cittadinanza. Il nuovo direttore lascia, comunque, nonostante l’ondata montante di barbarie, una speranza: in questo anno buio che abbiamo di fronte, i pochi buoni rimasti potranno sempre contare su La Repubblica, avamposto di civiltà. Con la ciliegina finale, trita e ritrita anch’essa: non si contesta – ci mancherebbe altro, sarebbe il caso di dire – la vittoria degli avversari, ma di questi in particolare. Solo che, avendo un po’ di memoria, si diceva lo stesso anche di tutti gli altri politici “non di sinistra” di prima, da Berlusconi a ritroso fino al ’48 e anche, e ricordiamo bene anche questo, degli italiani che li votavano, con il medesimo atteggiamento di auto conferita superiorità morale.