di Frencesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Alzi la mano chi non vorrebbe tornare ad avere vent’anni. L’epoca delle grandi speranze e delle infinite possibilità. Il periodo in cui si è abbastanza grandi da poter fare tutto, non più bambini sottoposti ai limiti dell’età ed alle decisioni dei genitori, ma ancora liberi da impegni e pieni di vigore. Tuttavia “la gioventù è una malattia dalla quale si guarisce presto”. Poi inizia la fase adulta, con maggiori fatiche e legami, ma anche la possibilità di trovare un proprio ruolo nel mondo del lavoro e nella società. Ogni età ha luci e ombre e soprattutto costituisce una tappa fondamentale ed insostituibile nel naturale percorso della vita. Così anche l’innominabile vecchiaia, un tempo considerata l’età della saggezza e invece ai giorni nostri ridotta a spauracchio da combattere a colpi di fitness e botox. Ora la scienza – ed è notizia recente – arriva in nostro “aiuto” dicendo che, grazie al maggiore benessere, ci si può considerare giovani fino ai 75 anni, per chi ci arriva. Dunque, considerando che anche i bambini, spinti da modelli di comportamento invasivi, iniziano ad atteggiarsi da adolescenti sempre più presto, potremmo dedurre che, tolti un lustro iniziale ed uno finale, il restante spazio della vita umana è abitato da eterni ragazzi, ventenni honoris causa, che essi abbiano dieci, quaranta o sessant’anni. Nonostante qualche nostalgia per il “tempo delle mele”, non riusciamo a rallegrarci di questa notizia. Queste mele fuori stagione hanno tutta l’aria di un frutto avvelenato. Non convince la perdita prematura dell’innocenza e l’abbandono anzitempo dei giochi dell’infanzia verso una precoce giovinezza. Non è poi così esaltante l’idea di dover rinunciare all’autorevolezza della maturità anche quando si avrebbe l’età giusta per avere un lavoro sicuro e magari una famiglia: in questo caso la gioventù fuori tempo massimo assume il volto triste di una costante precarietà non solo lavorativa, ma anche esistenziale. Non piace neanche il voler considerare gli ultrasessantenni come forzatamente giovani: sembra una scusa per far sembrare legittime le leggi “alla Fornero” e i tagli alla sanità, illudendoci che anche da anziani non avremo bisogno di riposo e cure, ma potremo tranquillamente lavorare come da ragazzi e magari la sera andare a ballare. Insomma, l’impressione è che la “perenne gioventù” sia una trappola per costruire una società di eterni minorenni, privi di indipendenza economica e tutele sociali, sottoposti alle turbolenze ed alle incertezze di una società liquida e informe. Dovendo restare, a dispetto dell’anagrafe, sempre al passo coi tempi, sempre appetibili, sempre sul mercato, lavorativo e sociale. Una prospettiva niente affatto allettante: ogni cosa a suo tempo. Per parafrasare un noto slogan, i vent’anni, con le loro bellezze e le loro difficoltà, ai (veri) ventenni.