Se un giornalista come Massimo Gramellini viene classificato come «protofascista» dopo aver risposto alle 64 domande del «Fascistometro» che corredano il saggio della scrittrice Michela Murgia, “Istruzioni per diventare fascisti”, edito da Einaudi e pubblicizzato dal settimanale L’Espresso, vuol dire che qualcosa non va. In effetti qualcosa non va già nel questionario, brodo indistinto e insapore di luoghi comuni che servirebbero a misurare il grado di fascismo insito in ognuno di noi. Un’operazione che non funziona neanche in termini di utilità pubblica, sociale e politica se non far parlare di sé, cioè della scrittrice militante di sinistra Michela Murgia, e di chi le ha dato tanto spazio, a partire da Einaudi, passando per l’Espresso e arrivando i social media, molto animati dalle polemiche che l’iniziativa ha suscitato. Allora perché parlarne, perché concedere altro spazio ad una carnevalata? Perché è la dimostrazione di quanto sia duro a morire uno sport molto praticato in Italia: quello di parlare e predicare senza conoscere e sapere. Dal test emerge la scarsa la conoscenza dell’ideologia che si vorrebbe combattere e del profilo di coloro che ad essa ancora si rivolgono come punto di riferimento. Svela anche la mancanza di coraggio nell’elaborare domande che sarebbero dovute essere ben più scomode, impegnative e profonde per rivelare una visione della realtà e della storia forse davvero inconsapevole per molti. Dimostra che per molta sinistra “fascismo” equivale a “qualunquismo”, forse per questo lo si vede ovunque, con il rischio di ridimensionarlo e di sottovalutarlo, mancando l’obiettivo che il saggio si vorrebbe prefiggere ovvero sconfiggerlo. Infine ci racconta, ma già lo sapevamo, a quale grado di crisi sia giunta l’editoria se persino una casa editrice come Einaudi si è prestata ad una simile operazione che, pur redditizia, non è riuscita a suscitare neanche la benevolenza di tutti i cosiddetti antifascisti.