di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Emmanuel Macron ha finalmente gettato la maschera ergendosi a leader del fronte antisovranista con la sfacciataggine di descriversi come campione di solidarietà nonché di correttezza, sia verso i migranti che nei confronti degli altri partner Ue. Peccato, per lui, invece che sia ben chiaro il suo ruolo tanto chiuso verso l’ondata migratoria quanto indifferente alle necessità degli altri Stati europei. Basti pensare che, come ha osservato il vicepremier Salvini, «da inizio 2017 ad oggi ha respinto più di 48mila migranti alle frontiere con l’Italia, comprese donne e bambini». Le gesta dell’inquilino dell’Eliseo sembrano ispirate dal celebre motto “Armiamoci e partite”: va bene la solidarietà, ma con i confini degli altri. L’operato, interno ed internazionale, del governo gialloblu sta provocando sommovimenti in tutto il Vecchio Continente, dove ormai si comincia a giocare a carte scoperte. Da una parte le forze dell’ultraliberismo, che da decenni difendono uno status quo insostenibile fatto di politiche di austerity e impoverimento dei lavoratori, impersonate e rappresentate dall’enfant prodige di Rothschild & Co, dall’altra una nuova frontiera, quella di coloro che fanno della difesa delle identità nazionali e della risoluzione dei problemi sociali il punto cardine per cambiare questo stato dei fatti. In questo scenario, salta agli occhi come il vecchio establishment, rappresentato da una classe politica bipartisan votata alla globalizzazione, alla finanziarizzazione, all’internazionalismo, abbia portato la popolazione europea a un evidente scontento, a una manifesta sofferenza. Emmanuel Macron, uomo-simbolo dell’ “ancien regime” comunitario, risulta spesso in evidente contraddizione con se stesso: nonostante i proclami politically correct, nei fatti sembra non aver alcuno scrupolo nel difendere l’interesse prettamente francese, come dimostra non solo il comportamento di Parigi sulla questione migratoria, ma anche la vicenda Fincantieri. Al netto dei ragionamenti su vizi, virtù e contraddizioni dell’establishment, e sui cambiamenti che intervengono sul piano politico comunitario, il punto centrale da ribadire senza stancarsi è uno solo: il sogno europeista degli anni Cinquanta del Novecento si è trasformato, per una larga fascia di famiglie, giovani, lavoratori, pensionati, in un incubo. L’Europa dei numeri, l’Europa degli interessi forti e dei lavoratori deboli, deve cambiare. E, ne siamo certi, cambierà.