di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Nel 493 avanti Cristo, ossia all’incirca 2.500 anni fa, nella Repubblica romana si creò un profondo attrito fra patrizi e plebei. Il popolo, che si sentiva oppresso e sfruttato dal Senato e dalle famiglie nobili, si mise in sciopero, adunandosi sul Monte Sacro. Finché Menenio Agrippa, un patrizio stimato anche dalla plebe, fu inviato dai senatori a trattare coi popolani, per convincerli a tornare alle proprie occupazioni e così a far ripartire la vita dello Stato grazie alla – ormai celebre – metafora delle diverse membra del corpo, tutte necessarie a far vivere l’organismo così come le varie categorie sociali e lavorative sono tutte indispensabili per lo Stato. Non bastò  certo questo paragone, seppure arguto, ad indurre la plebe a tornare. A convincerli fu, piuttosto, l’istituzione dei Tribuni della Plebe, una speciale magistratura avente il compito di rappresentare il popolo ed il potere di difenderlo dall’arroganza dei patrizi. A Roma, certo, conflitti e contrapposizioni non terminarono, ma il patto sociale non fu interrotto e l’Urbe continuò a prosperare più o meno per un altro migliaio d’anni. Questa storia antica si può adattare ai giorni nostri: anche nel nostro Paese in questi anni si è creata una profonda frattura fra popolo e classe dirigente. Una frattura sintetizzata dai dati relativi all’aumento delle disparità sociali e della povertà, dalla crescente sensazione di esclusione ed insicurezza che si respira in provincia e nelle periferie lontane dai salotti degli odierni patrizi. Dall’assenza di opportunità e meritocrazia che ha spinto tanti nostri giovani ad emigrare. Alle sempre più pressanti richieste di cambiamento, i patrizi del nostro tempo hanno risposto storcendo il naso e tappandosi le orecchie, fingendo che tutto continuasse ad andar bene, esaltando un’invisibile ripresa, derubricando ogni voce dissidente alla peggior specie di populismo. E così il popolo il 4 marzo se ne è andato sul Monte Sacro, ha voltato le spalle ai vecchi interpreti di una politica ormai lontana ed autoreferenziale rivolgendosi a chi si proponeva come vicino ai bisogni delle persone comuni. Dopo un’iniziale resistenza, il Presidente Mattarella, come un novello Agrippa, si è infine convinto a trattare con i partiti identificati come populisti, o “populares” come avrebbero detto i latini, incaricando finalmente per il ruolo di Presidente del Consiglio il rappresentante indicato dalla nuova maggioranza, Giuseppe Conte, auto definitosi “avvocato difensore del popolo italiano” e quindi in un certo senso Tribuno della Plebe. Non sappiamo come procederà la complessa fase di transizione che sta trasformando la politica italiana, ma ci auguriamo che si inauguri una stagione di maggiore ascolto delle istanze popolari per rinsaldare anche nell’Italia dei nostri giorni un patto sociale negli ultimi tempi decisamente sfilacciato.