di Caterina Mangia

Era la sera del 19 marzo del 2002 quando il giuslavorista Marco Biagi, di ritorno in bicicletta a casa, al civico 14 di via Valdonica, a Bologna, fu colpito e ucciso dal fuoco delle pistole delle “Nuove Brigate Rosse”.
A sedici anni dall’assassinio, si può confermare che l’atroce gesto è stato, come ogni atto terroristico, inutile al suo scopo: il mercato del lavoro è stato più che liberalizzato, l’articolo 18 abolito, i diritti pesantemente compromessi. Con una sola aggiunta: a un uomo di 52 anni è stato tolto il diritto di vivere. Alla sua famiglia è stato tolto un affetto. Lo Stato stesso ha subito una grave perdita ed è stato colpito.
Nonostante oggi siano state previste numerose celebrazioni in suo onore – in particolare a Bologna, sua città natale –  la memoria di Biagi non trova pace nemmeno nel giorno dell’anniversario della sua uccisione; sui muri della facoltà di Economia dell’Università di Modena, dove insegnava, sono comparse scritte infamanti sul suo conto: «Marco Biagi non pedala più, onore a Mario Galesi, onore ai compagni combattenti». E ancora: «1.000 Biagi». A pochi giorni di distanza dal quarantesimo anniversario del rapimento di Aldo Moro, e a più di un quindicennio dall’uccisione del giuslavorista, c’è ancora chi inneggia al brigatismo e si rallegra per la morte dei bersagli del terrorismo rosso.
Duramente attaccato per la sua controversa proposta di riforma del mercato del lavoro, contenuta nel “Libro Bianco” del 2001, Marco Biagi aveva ricevuto numerose minacce e aveva chiesto ripetutamente tutele, ma pochi mesi di morire fu privato della scorta.
La sua “colpa”? Porsi domande scomode. Consapevole delle mutazioni in atto nel mercato occupazionale e sullo scenario globale, Biagi tentò, in maniera più o meno condivisibile, di trovare soluzioni adeguate alla contemporaneità. I brigatisti non lo hanno perdonato. Così come tre anni prima non avevano perdonato il professor Massimo D’Antona per aver contribuito al “Patto per l’occupazione e lo sviluppo”. I due studiosi sono stati uccisi con la stessa pistola.
«La ferita inferta dai terroristi assassini è ancora aperta nella nostra comunità civile», ha spiegato in mattinata il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.  «In questa giornata – ha aggiunto – desidero rinnovare la mia vicinanza e la mia solidarietà alla signora Marina Orlandi Biagi, ai familiari, agli amici, ai colleghi, a quanti hanno continuato in questi anni a sviluppare i temi della ricerca di Biagi, approfondendo e ampliando il confronto, cercando soluzioni positive alle domande poste dai mutamenti profondi del lavoro e dei mercati, tentando di tenere insieme le esigenze di competitività del sistema con i principi costituzionali di equità e di giustizia sociale».