di Caterina Mangia

Little Italy è sempre più “little” e sempre meno “Italy”.
La definizione arriva dal New York Times, il quale ha dedicato un articolo all’ormai inesorabile “tramonto” del quartiere italiano più famoso degli Usa, che ha ispirato centinaia di film e libri fino a diventare un’icona quasi leggendaria, impressa in modo indelebile nell’immaginario collettivo.
Letteralmente “corroso” dall’avanzata di Chinatown, Nolita e Soho, e “colonizzato” da insegne delle più svariate nazionalità, Little Italy è ormai soltanto l’ombra di se stessa: meta di gite turistiche e oggetto di ricordi d’altri tempi, è dal 2010 che il quartiere non ospita più nessun nato in Italia. Nel 2000, erano 44 gli italiani rimasti nel quartiere.
E’ dunque finita l’epoca in cui ogni strada del famoso bourough era caratterizzata dalla colorata presenza di una specifica provenienza regionale: i napoletani a Mulberry Street, calabresi e pugliesi a Mott Street, i siciliani in Elisabeth Street.
Ormai, secondo il New York Times, di Little Italy è rimasto il solo nome: «è ridotta – si legge sul quotidiano – soltanto ad un nome su una mappa stradale e al massimo un paio di isolati su Mulberry Street frequentati quasi interamente da turisti».
A restare ancora viva è la memoria e gli infiniti ritratti di registi e scrittori: «Vivendo nella Little Italy di Manhattan potevi scegliere fra diventare gangster o prete. Io scelsi la via religiosa, ma finii per diventare un regista», ha detto Martin Scorsese, cresciuto nel quartiere.