di Nazzareno Mollicone
Responsabile Nazionale Ufficio per le Questioni previdenziali

Il tema delle pensioni sta diventando di attualità da alcune settimane, in coincidenza con l’accelerazione della campagna elettorale per le prossime elezioni politiche. Ciò dipende perché, soprattutto da parte del centro-destra, si pone sotto accusa la riforma delle norme per il pensionamento stabilite nel 2011 dalla legge n. 214 comunemente definita “legge Fornero” dal nome dell’allora ministro del lavoro del governo presieduto dall’europeista Mario Monti, che tuttavia è stato lui il vero artefice di quella riforma in nome di una presunta crisi finanziaria dell’Italia: se ne chiede infatti l’annullamento o la modifica delle parti essenziali. Gli aspetti più criticati sono quelli relativi all’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni uguali per tutti, uomini e donne, e per qualsiasi tipo di lavoro, la parziale abolizione dell’adeguamento delle pensioni in essere all’incremento del costo della vita, l’elevazione dei requisiti per percepire la pensione di anzianità contributiva.

Legge Fornero: improvvisata e pasticciata

Che quelle norme furono improvvisate e scritte male, senza tener conto della realtà, è stato poi dimostrato dagli interventi successivi resisi necessari. Sono stati in particolare tre i problemi causati da quella legge:
a) i danni arrecati a migliaia di lavoratori definiti “esodati”: tutti quelli che, prima dell’entrata in vigore della legge Fornero, avevano concordato le dimissioni, singole o collettive, dal proprio rapporto di lavoro con la prospettiva di ottenere la pensione, secondo le norme all’epoca esistenti, subito o dopo pochi mesi. L’improvviso allungamento di tre-quattro anni della data in cui avrebbero potuto riscuotere la pensione poneva quei lavoratori anziani in una condizione di crisi perché non percepivano più né lo stipendio, essendosi dimessi, né la pensione. Sono stati necessari ben otto provvedimenti di rettifica a tutela di questi esodati – che ammontano a circa centomila lavoratori – per consentire loro di percepire ugualmente la pensione;
b) l’innalzamento di un colpo a 67 anni dell’età pensionabile vanificava il complesso equilibrio trovato dai governi precedenti (Prodi e Berlusconi) con il sistema delle quote: il lavoratore nell’ambito di un tetto prefissato (100) poteva optare tra l’età pensionabile e gli anni contributivi;
c) nell’ambito dell’età pensionabile vi era poi la distinzione relativa al tipo di lavoro svolto continuativamente per un determinato numero di anni. Si trattava dei cosiddetti “lavori usuranti” relative a mansioni molto onerose fisicamente e psicologicamente le quali sono state riconosciute, solo in parte, con la legge di bilancio n. 205 del 2017;
d) vi è poi la questione relativa ai cosiddetti “quarantunenni”, ossia persone che hanno iniziato a lavorare molto presto (i cosiddetti “lavoratori precoci”) e che, dopo aver accumulato ben 41 anni di contributi lavorativi, potevano andare in pensione secondo i vecchi criteri all’età di 60 anni (19 anni inizio lavoro e 41 di lavoro). Anche per questi è stato trovato un rimedio parziale con la succitata legge n. 205/2017.

Un prestito bancario per l’anticipo pensionistico

Tuttavia, per rispondere alle pressioni di molti lavoratori dipendenti per anticipare il pensionamento al di fuori dei casi suesposti sono state insistenti e fondate anche su motivazioni personali (non è necessario essere addetti a mansioni palesemente usuranti per non poter più sopportare fisicamente e psicologicamente i ritmi di un lavoro quotidiano) il governo si è inventato una forma di “anticipo pensionistico” (un’altra “APE”) definito volontario la cui novità sta nel fatto che la pensione viene erogata dall’INPS sulla base di un prestito concesso da una banca per un massimo di tre anni e sei mesi, e con la copertura di una polizza assicurativa contro il rischio morte. Il prestito, ovviamente, va restituito con gli interessi detraendolo dalla pensione quando verrà definitivamente e formalmente erogata. Sta di fatto che le difficoltà finanziarie inerenti a questo progetto ne hanno ritardato a tutt’oggi l’attuazione, dopo oltre sei mesi dal suo annuncio, per la difficoltà di realizzare apposite convenzioni con le associazioni di banche ed assicurazioni. Resta comunque la novità inconsueta (e scandalosa!) che per anticipare di alcuni mesi la pensione bisogna chiedere un mutuo alla banca, da restituire con gli interessi!

Un fallimento legislativo

Ecco, questi sono i pasticci creati dalla Legge Fornero su cui si sono dovute mettere tante “toppe” per coprire i buchi più scandalosi: pasticcio che non sarebbe successo se lei, ed il suo presidente del consiglio Monti, avessero avuto l’accortezza di confrontarsi con le organizzazioni sindacali per avere elementi di valutazione sui singoli aspetti del provvedimento e concordare soluzioni meno traumatiche.
Ciò ha provocato la presa di posizione di tutto lo schieramento di centro-destra per l’abolizione totale di quella legge e la riscrittura, sulla base delle esperienze, di una nuova normativa più equa e solidale. Ma ciò sta provocando le aspre reazioni di tutta la stampa ubbidiente alle impostazioni di smantellamento dello “Stato sociale” provenienti dalle centrali liberiste della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea che diffonde dati terroristici sull’assetto finanziario del sistema previdenziale allo scopo di bloccare qualsiasi modifica di una legge che è diventata una specie di “totem” intoccabile e di un simbolo.
E la stessa professoressa Elsa Fornero ci mette del suo, apparendo – senza contradditorio! – nelle trasmissioni televisive in cui accusa addirittura di “paranoia” i suoi oppositori più tenaci, come ad esempio il segretario della Lega Matteo Salvini, affermando per di più che “quella legge non si può abolire se l’Italia (lei lo chiama “Paese”..) non si vuole “suicidare”! Megalomania, complesso di colpevolezza, o megafono di Bruxelles e Francofort? Lo possono stabilire solo gli psicologi…

Cifre confuse

Qualche esempio. Poche settimane fa, il vice direttore del “Corriere della Sera” se ne uscì con un paginone in cui affermava che il deficit pensionistico inciderebbe per 88 miliardi di euro l’anno sul bilancio dello Stato, e che le previsioni dell’Unione Europea prevedevano, da qui al 2060, centinaia di miliardi di maggiore spesa pensionistica. Cifre, entrambe, prive di fondamento reale. Intanto, gli 88 miliardi di contributo finanziario dello Stato all’INPS non sono eguali anno per anno, cambiano a seconda della situazione finanziaria dell’Istituto. Poi nessuno dice mai che lo Stato, per effetto della riscossione dall’INPS delle imposte sulle pensioni come “sostituto d’imposta”, incassa circa 25 miliardi di euro, riducendo così l’esborso netto a 53 miliardi di euro e l’incidenza sul bilancio dello Stato. Ma il “Corriere della Sera” dimentica di dire che nell’INPS sono confusi insieme previdenza (basata su un calcolo di matematica attuariale tra contributi versati e pensione maturata) e assistenza sociale che qualsiasi Stato deve sostenere per i suoi cittadini più sfavoriti: poveri (assegni sociali), disoccupati, invalidi civili, ed altro. Questa spesa ci sarebbe comunque, anche se per ipotesi la previdenza vera e propria divenisse tutta privata (come forse vogliono i “commissari” europei e i loro ispiratori finanziari)!
Per quanto riguarda poi la previsione pluridecennale indicata dal “Rapporto sull’invecchiamento dell’Europa” elaborato sui dati del 2015 che prevede per il 2060, anche nonostante le modifiche della legge Fornero, un incremento dell’incidenza della spesa pensionistica sul p.i.l., la questione non si pone neanche. Previsioni di tal genere possono essere limitate ad un decennio, visto che in 45 anni può succedere di tutto. Pensiamo a chi avesse fatto nel 1910, anno della “belle époque”, le previsioni per il 1955: in quel periodo è successo di tutto, guerre, rivoluzioni, epidemie mortali come la “spagnola”, inflazioni!
Il tema è stato ripreso dal “Sole 24 Ore” il quale intitola “Pensioni, a rischio 20 miliardi l’anno” nel caso di abolisse questa famigerata “legge Fornero”. Eppure, leggendo bene si apprende che questa cifra si raggiungerebbe solo fra tre anni e quindi non è una cifra annuale ma una sommatoria di diverse voci sparse in più periodi. Poi quella cifra vorrebbe dire il pensionamento immediato di un milione di persone, cosa da verificare visto che i pensionati annui sono circa 600.000. Ma per completezza di analisi si dovrebbe tener presente un altro dato: se si diminuisse l’età pensionabile, avremmo anche l’occupazione di giovani al posto dei lavoratori anziani con il conseguente versamento di contributi per circa cinque miliardi. La differenza di quindici miliardi, (pari a meno dell’1% del p.i.l.) è quindi del tutto sostenibile intervenendo su altre voci di spesa.

Sintesi
Da quanto sopra esposto, risultano evidente non solo le grandi lacune tecniche e sociali della legge Fornero che pure viene difesa a spada tratta dalla grande (e spesso fallace) informazione ma anche il sostanziale immobilismo dei governi che hanno gestito l’importante questione previdenziale senza alcuna volontà di modificare lo status quo.
Infatti, come giustamente ha espresso il segretario generale dell’UGL Paolo Capone, la vera questione è quella della distinzione tra assistenza e previdenza: se fosse attuata, si potrà constatare con i numeri veri se la previdenza è in equilibrio tra contributi versati e pensioni erogati, e a quanto ammonterebbe l’eventuale deficit, certamente inferiore a quello diffuso in modo quasi terroristico per impedire qualsiasi discorso.
Ma non va dimenticata un’altra cosa: di previdenza tutti parlano, tranne i veri contribuenti, datori di lavoro, lavoratori dipendenti e pensionati che sono i veri “azionisti” dell’INPS. A tal fine, andrebbero ascoltate e riprese dalla grande stampa d’informazione le analisi e le denunce del “Consiglio d’Indirizzo e Vigilanza” in cui sono presenti i rappresentanti delle Parti Sociali contribuenti, e il bilancio dell’INPS andrebbe analizzato in tutti i suoi settori, prima di emettere giudizi sommari o diffondere cifre sommarie.
L’impressione generale che si trae da questa vicenda è che i non tanto occulti governanti dell’economia europea vogliano ridurre le tutele sociali per favorire imprese e banche. La conseguenza sono i milioni di lavoratori precari e a basso prezzo, i disoccupati giovanili, gli anziani in attesa della pensione e le stesse pensioni sempre più basse. Tutti più poveri, quindi, diventa la prospettiva di questa Europa, sempre più lontana dai popoli che governa.