di Caterina Mangia

Avere una fede aiuta a vivere più a lungo: a confermarlo è la stessa scienza.
Il sapere razionale e quello spirituale, si sa, spesso corrono su binari paralleli, senza “disturbarsi” reciprocamente. Tuttavia una ricerca effettuata dalla Emory Rollins Shool of Public Healt ha rotto questo schema, indagando sugli effetti che la vita spirituale ha sulle persone: la conclusione è chi frequenta funzioni religiose almeno una volta a settimana ha un rischio di mortalità che si riduce del 40%.
Intervento divino? Alla scienza non è dato rispondere a tale quesito: la ricerca si limita a constatare che non conta quale sia la propria professione religiosa, l’importante è frequentare con un certo grado di assiduità i rituali legati al proprio credo. Chi lo fa, infatti, è meno soggetto alla possibilità di fumare o bere alcolici, ed è inoltre più propenso all’attività fisica e a effettuare controlli preventivi sulla salute: in poche parole, il praticante “diligente” tende a una vita sana.
La ricerca è stata effettuata su oltre 18mila cittadini statunitensi di oltre 50 anni di età e i dati sono stati depurati da altri fattori che hanno un’incidenza sulla salute, come il genere femminile e il buono status socio-economico.
«Lo spirito religioso – ha spiegato all’Ansa Raffaele Antonelli Incalzi, professore di professore di Medicina interna e geriatria presso l’Università Campus Biomedico di Roma e, dal primo gennaio 2018, presidente della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia – si associa in genere ad un’attitudine mentale positiva».