di Nazzareno Mollicone

 

Mentre la discussione sul progetto di legge per la concessione della cittadinanza agli immigrati tramite il sistema dello “jus soli” è finito in “parcheggio” a causa delle forti perplessità che ha suscitato, si è riaccesa la polemica sul riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli e nipoti di emigrati all’estero che possono, in base alle leggi vigenti, avere titolo a richiederla. Oltre ai casi previsti dalle legge n. 91 del 1992 sulla cittadinanza (quella che ora si vuole modificare per gli immigrati) vi è il caso particolare dei discendenti di persone residenti in territori che non erano ancora italiani prima della guerra del 1915/1918 o di quelli che sono stati persi dopo la guerra 1940/1945; oppure di donne italiane sposate a straniere che automaticamente perdevano giuridicamente, prima della Costituzione del 1948, la propria.

I richiedenti sono assai numerosi, in particolare nell’America Latina dove l’emigrazione italiana è stata più massiccia: in aggiunta ad altrettante domande già accolte, vi sono oltre 300.000 richieste inevase di cui 116.000 solo in Brasile. Tuttavia queste richieste devono attendere anche sette/otto mesi prima di essere esaminate, con la loro documentazione, dai Consolati. Ciò è dovuto a due fattori: al fatto che – per ottemperare ai risparmi di spesa sul bilancio statale – molti sono stati soppressi e poi alla mancanza di personale specializzato che possa lavorare sulle domande pervenute.  Inoltre, per quanto riguarda le domande, molte – visto i decenni trascorsi – sono carenti di documentazione, tant’è che l’on.le Ricardo Merlo, eletto in Argentina tra i parlamentari della Circoscrizione Estero, presidente del “MAIE” (Movimento Associativo degli Italiani all’Estero) ha dovuto presentare una proposta di legge che recita: “Qualora l’interessato, residente all’estero, non possa allegare all’istanza per il riconoscimento della cittadinanza italiana la certificazione comprovante la discendenza in linea retta da un soggetto cittadino per nascita a causa della perdita o distruzione atti anagrafici dovuti ad eventi eccezionali (pensiamo solo all’Istria ed alla Dalmazia nel 1943-1947), la competente autorità consolare ha la facoltà di attestare tale circostanza nonché ogni altro elemento, debitamente documentato, idoneo a provare la cittadinanza dell’ascendente i cui atti anagrafici non risultano disponibili o la propria discendenza da questo.”

Da segnalare che la perdita di tempo non avviene solo presso i Consolati, per le ragioni anzidette. Vi sono poi altri mesi di attesa per il trasferimento delle pratiche dal Ministero degli Esteri a quello degli Interni per l’emanazione dei relativi decreti di riconoscimento. Insomma, una odissea molto travagliata.

Ma il problema non è solo questo. Nel mese di giugno 2014 il Parlamento, nell’ambito di una delle solite “manovrine” finanziarie, ha istituito una “tassa di cittadinanza” a carico di coloro che vivono all’estero e chiedono il riconoscimento della cittadinanza.  Questa tassa è stata fissata in 300 euro (e si sa come sia ingente quest’importo in Paesi come l’Argentina ed il Brasile) ma il Partito Democratico, autore della proposta, l’ha presentata come necessaria “per aumentare il personale dei consolati al fine di smaltire le pratiche arretrate”. Però questo di fatto non è avvenuto, e il Ministero dell’Economia ha incamerato quegli importi senza riversarli al Ministero degli Affari Esteri: ammettendo implicitamente questa “appropriazione indebita”, con la scorsa finanziaria è stato stabilito che comunque il 30% doveva essere riassegnato ai singoli Consolati. Ma, nonostante questa forte riduzione del 70% dell’importo a suo tempo stabilito a favore dei Consolati, neanche quest’importo è stato versato tanto che lo scorso mese di giugno il Ministero degli Esteri ha dovuto comunicare alle rappresentanze degli Italiani all’estero elette nel “Consiglio Generale degli Italiani all’Estero” di aver sollecitato il  Ministero dell’Economia affinché versi quanto stabilito dalla legge…

Insomma, sembra che la volontà degli ultimi governi sia quella di  apporre una serie di ostacoli verso il legittimo desiderio di acquisire la cittadinanza da parte di chi si sente veramente italiano per discendenza, per cultura e per attaccamento sentimentale alla Patria. Abbiamo quindi da un lato una corsia lenta, costosa e ad ostacoli per lo “jus sanguinis” (peraltro sancito da una legge dello Stato ancora vigente) e dall’altro si vorrebbe  una strada in discesa, veloce, gratuita e senza dimostrazione di alcun attaccamento alla Nazione italiana per il cosiddetto “jus soli” riservato ai figli degli immigrati.