di Barbara Faccenda

Mentre si rincorrono in vere e proprie ondate i racconti sulla morte del leader dello “Stato islamico” (IS) Abu Bakr al-Baghdadi (restasenz’altro strano che la Russia con un forte apparato di servizi di sicurezza sia incapace di confermarne la morte), i jihadisti diffondono una serie di cartoni animati sulla vita di una famiglia jihadista nel “Califfato IS”.

Sebbene sia difficile dire se il gruppo confermerebbe una perdita così importante, la decapitazione di organizzazioni terroristiche rappresenta uno strumento di contro-terrorismo ad alto valore simbolico. Tuttavia la forza militare impiegatain questo modo non sembra essere sufficiente a decretare, per sé, la fine di un’organizzazione terroristica d’ispirazione religiosa.

La storia ci dimostra che malgrado l’uccisione dei leader “precursori” dell’IS: Abu Musab al-Zarqawi, Abu Hamza al-Muhajir, Abu Umar al-Baghdadi, il gruppo è cresciuto. Lo stesso è accaduto dopo l’uccisione di Osama bin Laden: Al Qaeda (AQ) è sopravvissuto e ha continuato a istituire affiliati seguitando ad essere una minaccia.

Per cercare di capire se la decapitazione di gruppi come IS o AQ sia efficace, vale la pena di ricordare le caratteristiche principali dei gruppi terroristici d’ispirazione religiosa. I terroristi religiosi vedono il mondo nei termini in cui “noi siamo le persone di Dio e “loro sono i nemici di Dio”. (Questa interpretazione morale del conflitto si è provata straordinariamente efficace in tutta la storia occidentale nel consolidare l’identità dei gruppi cristiani). Il loro impegno per un’idea religiosa o per un gruppo religioso li guida a de-umanizzare i loro avversari ad un grado tale che diventano capaci di uccidere. Il terrorismo religioso è una guerra psicologica e spirituale. I gruppi religiosi sono altamente resistenti agli attacchi alla loro leadership. La convinzione che la decapitazione sia efficace è basata sulla nozione che la leadership sia essenziale al funzionamento di un’organizzazione. Sono stati condotti molti studi sull’efficacia di questo strumento di contro-terrorismo. Alcuni studiosi come Langdon et al. affermano che le organizzazioni religiose raramente si sciolgono quando il leader viene ucciso perché forniscono una forte coesione e si affidano agli insegnamenti del leader (sebbene carismatico) che i seguaci tendono inesorabilmente a seguire anche nel vuoto di leadership che si crea. Per Martha Crenshaw, esperta internazionale di studi sul terrorismo, la decapitazione è meno efficace in gruppi molto grandi, evidenziando che l’utilità sarebbe maggiore qualoral’organizzazione fosse nei momenti successivi alla creazione.

Perché questo risulta vero per organizzazioni religiose terroristiche come AQ o IS? La risposta è sia nella loro tipologia di organizzazione che può definirsi”ibrida”: vale a dire una combinazione di network virtuali, organizzazione con quadri, affiliati e “indipendenti” sia, e soprattutto, nella loro missione. La storia del “noi” contro “loro”: distingue il puro dall’impuro e crea l’identità del gruppo.

I fondamentalisti vedono i testi religiosi come delle guide infallibili di vita. Per coloro che vedono le scritture come la parola esatta di Dio, le persone che le leggono e le interpretano sono umani e fallibili, un concetto che i fondamentalisti spesso sono incapaci di concettualizzare se si applica a loro stessi, sebbene siano felici di applicarlo ad altri. Va notato che ciò non è particolare dell’IS o di altri gruppi jihadisti, si applica a molti fondamentalisti violenti in un ampio raggio di ideologie. I lettori portano i loro pregiudizi e dolori nei testi religiosi. Quello che sembra più seducente dei gruppi fondamentalisti violenti è la semplificazione della vita e del pensiero. La vita è trasformata attraverso l’azione, il martirio fornisce l’ultimo sollievo dai dilemmi della vita, specialmente per individui che si sentono profondamente alienati, confusi, umiliati o disperati. Il razionale impiegato dai fondamentalisti religiosi è (questo vale per ogni tipo di religione) la diagnosi di un declino morale causato dal rifiuto di principi religiosi e argomentano che il declino può essere fermato solo ritornando a questi principi. Nella gamma di opzioni c’è quella di scegliere la violenza e utilizzare il terrorismo motivandolo con la religione.

Nei gruppi terroristici d’ispirazione religiosa gli insegnamenti del leader dunque guidano i seguaci internamente ed esternamente e seppure il leader sia caratterizzato da un forte carisma, i suoi insegnamenti religiosi trascendono la sua figura umana e resistono anche dopo la sua morte. In verità molti leader religiosi uccisi vengono poi venerati dopo la morte. Proprio per quanto detto finora la risposta che ci sembra più efficace a questo tipo di gruppi non è quella della decapitazione della leadership, ma piuttosto quella informata da un punto di vista sia psicologico che spirituale. Appare oltremodo necessario comprendere che i terroristi religiosi hanno l’obiettivo non solo di spaventare le loro vittime in senso fisico, ma anche di diffondere un certo tipo di timore spirituale per spostare il loro stesso timore esistenziale di sconfitta culturale e spirituale nelle loro vittime.

Per combattere il terrorismo religioso è necessario che l’azione armata sia accompagnata da un esame non solo della nostra tendenza a reagire in maniera esagerata di fronte a questo tipo di paure, incluso la demonizzazionedei perpetuatori e i loro sostenitori o correligionari, ma anche come le loro azioni e razioni si sviluppinonelle loro stesse mani, a prescindere dal vertice del gruppo.