di Claudia Tarantino

Si apre la discussione sull’ipotesi avanzata dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, di un assegno minimo di circa 660 euro per quei giovani che in futuro andranno in pensione senza aver maturato contributi necessari a raggiungere quella soglia.
Si tratta, cioè, di persone che rientrano interamente nel sistema contributivo, che hanno iniziato a versare i contributi a partire da gennaio 1996 e che, vista l’attuale situazione di crisi occupazionale, sono alle prese con carriere discontinue e rischiano così di uscire dal mondo del lavoro, stanti le attuali norme, con l’assegno di vecchiaia oltre i settant’anni.
L’indicazione del governo è quella di farli andare in pensione “prima dei 70 anni e con 20 anni di contributi, avendo maturato un trattamento pari a 1,2 volte l’assegno sociale (448 euro), invece dell’attuale 1,5”.
Ciò vorrebbe dire che i futuri pensionati uscirebbero – sempre secondo i calcoli di Palazzo Chigi – con un assegno minimo di circa 650-680 euro, perché verrebbe aumentata la cumulabilità tra assegno sociale e pensione contributiva. Nella somma andrebbero, inoltre, comprese anche le maggiorazioni sociali.
Questo meccanismo di garanzia per i giovani che rischiano di ritrovarsi con un trattamento pensionistico troppo basso trova i sindacati favorevoli, almeno per quanto riguarda l’impianto generale della misura, ma viene bocciato dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, il quale fa sapere subito che “non condivide l’introduzione di una pensione di garanzia per i giovani che hanno avuto carriere discontinue perché sarebbe un trasferimento di costi a carico delle generazioni future”.
Di tutt’altro tono, invece, si prospetta il dibattito sulla possibile sospensione del meccanismo automatico che adegua l’età pensionabile all’aspettativa di vita. Questo punto, infatti, fortemente caldeggiato dai sindacati, sembra incontrare una certa resistenza da parte del Governo, che rimanda – ancora una volta – la questione alla pubblicazione dei dati definitivi dell’Istat previsti per il mese di ottobre.
E’ piuttosto ovvio che l’Esecutivo sta solo prendendo tempo, perché è molto difficile che quei numeri possano essere tanto differenti dalle stime preliminari di marzo che prevedrebbero, quindi, di portare il trattamento pensionistico su un gradino più alto di cinque mesi, trascinando ‘l’età della vecchiaia’ a 67 anni tondi.