di Francesco Paolo Capone

Questa domanda tormenta da più di un decennio molte analisi politiche e una risposta chiara ancora non è stata trovata.
Se ne è occupato Paul Krugman, economista americano e premio Nobel, in un’analisi pubblicata su “Il Sole 24 Ore”.
Ancora incredulo della vittoria di Trump alla Casa Bianca, Krugman cerca di capire come e perché i lavoratori americani abbiano non solo da tempo abbandonato i democratici, ma che addirittura siano talmente fedeli al nuovo più radicale corso del partito Repubblicano da essere indifferenti agli  scandali sulla collaborazione fra lo staff di Trump ed i russi di Putin.
Perché, si chiede il Nobel, questa difesa di Trump anche quando collabora col “nemico russo”? Non erano forse i bianchi repubblicani dei campioni di patriottismo?
La risposta che si dà Krugman è la seguente: ormai la faziosità in politica ha assunto livelli talmente elevati da far dimenticare anche il patriottismo. Una faziosità alimentatadai grandi capitali che hanno tramato radicalizzare il Partito repubblicano mediante i mass media vicini a Trump, come la Fox News ed i talk show radiofonici. Una faziosità tale che “indipendentemente dalla gravità che dovessero raggiungere le rivelazioni sui rapporti fra Trump e la Russia, la maggior parte dei repubblicani resterà dalla sua parte” pur di non far vincere la sinistra. Questa l’analisi di Krugman.
Un’analisi che, tuttavia, sembra non essere consapevole dei profondi cambiamenti politici ed economici che hanno completamente modificato la natura stessa dei partiti politici tradizionali.
Innanzitutto Putin non rappresenta certo l’URSS della guerra fredda ed è invece un leader conservatore che fa parte di un’area politica non lontanissima, seppur con tutti gli evidenti distinguo, da quella di Trump. In secondo luogo i mass media che cita il Nobel si riducono alla sola Fox, essendo tutti gli altri schierati platealmente contro Trump.
Ma, soprattutto, il grande capitale di cui parla Krugman sembra più vicino ai democratici che ai repubblicani e la lotta di classe del secolo scorso, fondata sullo scontro fra lavoratori nazionali e capitalisti nazionali, che si esprimevano politicamente rispettivamente nel partito democratico e in quello repubblicano,  ha lasciato il posto alla globalizzazione, nella quale i democratici, maggiori fautori dell’internazionalizzazione, sembrano favorire il dumping sociale a danno dei lavoratori americani, mentre i repubblicani, più isolazionisti, ora sono più vicini alle istanze della working class che vede nell’apertura incontrollata degli scambi di merci e di lavoratori il maggiore pericolo per il proprio benessere.
Nel nostro Paese sta avvenendo qualcosa di analogo. La sinistra continua a chiedersi che fine abbiano fatto i lavoratori e perché siano scomparsi dal proprio elettorato, ma anche da noi il grande capitale – rappresentato dalle multinazionali e dalla grande finanza –  tifa per l’apertura di ogni confine economico e politico con l’appoggio della sinistra, mentre i lavoratori temono la globalizzazione, avendola provata sulla propria pelle vedendo diminuire garanzie, salari e occupazione, e per questo si rivolgono a chi vuole metterle un freno.