di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Senza crescita dell’economia reale il benessere langue, il welfare perde la propria linfa vitale e di conseguenza mancano anche le risorse da destinare alle persone in difficoltà. Una tesi chiara e semplice, difficilmente contestabile, alla base di un interessante intervento del giornalista ed economista Enrico Cisnetto su “Qn Economia e Lavoro”. Un’analisi che ha come oggetto una delle misure simbolo di questi ultimi anni, il Reddito di Cittadinanza. Per alcuni avrebbe impedito a circa un milione di persone di scivolare sotto la soglia minima di introiti considerata sufficiente per una vita dignitosa. Eppure la cifra spesa in totale da quando è nato il Rdc, 23 miliardi di euro, una somma considerevole, non solo non è bastata a far diminuire – o abolire, come diceva qualcuno – la povertà nel nostro Paese, ma, al contrario, non ha impedito che questa aumentasse a dismisura fino a raggiungere la cifra record di 5,6 milioni di persone in difficoltà assoluta. È vero, di mezzo c’è stata la pandemia, ma se almeno una parte di quei 23 miliardi fossero stati impiegati in azioni rivolte alla crescita dell’economia reale, questa, in sintesi, la tesi dell’articolo di Cisnetto, con tutta probabilità la situazione ad oggi sarebbe stata migliore. Il perché è presto detto: innanzitutto, al netto dei casi di percezione indebita del sussidio, che pure sono stati molti, per 5,6 milioni di poveri solo 3,8 milioni hanno percepito il reddito, quindi almeno due milioni di persone non sono state raggiunte da questa misura. Resta il dubbio che il sussidio sia andato nelle tasche giuste. Inoltre, dato che, come noto, il reddito non è stato adeguatamente abbinato alle politiche attive del lavoro, i percettori, pur avendo avuto la disponibilità di qualche entrata in più, non sono riusciti ad uscire dalla propria condizione di povertà ed isolamento sociale, restando ancorati al sussidio. Al di là dell’evidente necessità di aiutare le persone in difficoltà, in particolare quelle non occupabili, circa il 40% dei percettori del reddito, per gli altri, che sarebbero potuti entrare nel mondo del lavoro o avere, se working poors, occupazioni migliori, sarebbe probabilmente stato più utile destinare parte delle risorse del Rdc in investimenti per la crescita e la produttività, per offrire loro non un sussidio, ma una buona occupazione. Il Rdc non è stato formulato in modo tale da riuscire ad allargare la base occupazionale: i posti vacanti, come ricorda Cisnetto, erano l’1,4% sul totale degli occupati al momento dell’introduzione del reddito ed oggi sono l’1,9%, pur in presenza di un tasso di disoccupazione all’8,3%. Né la misura è riuscita a sostenere in modo adeguato i consumi. Una riflessione importante, anche e soprattutto in questi giorni nei quali l’attenzione generale è rivolta alla crisi di governo. Per analizzare in modo più serio la situazione politica, oltre i pettegolezzi, le simpatie e le questioni di poltrona, comprendendo che dalle visioni che le varie forze politiche e i governi, nati con alchimie parlamentari o con maggioranze risultanti dal voto, mettono in campo, derivano effetti molto concreti che influenzano la vita di tutti noi.