di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

Un lavoro sempre più fragile, temporaneo e, come dimostrato dal III Rapporto Censis-Ugl, mal retribuito. C’è ben poco da esultare, purtroppo, intorno ai dati diffusi ieri dall’Istat: sì, è vero, a marzo 2022 prosegue la crescita dell’occupazione e il numero di occupati è tornato a superare i 23 milioni di persone, un aumento concentrato soprattutto tra i lavoratori dipendenti. Altrettanto vero che il tasso di occupazione, al 59,9%, ha segnato un record dall’inizio delle serie storiche.
Ma la quantità non corrisponde alla qualità del lavoro e il dato incoraggiante della crescita del numero degli occupati, rispetto a marzo 2021, e cioè 800 mila unità in più, si ridimensiona di fronte all’altro dato di realtà e cioè che quell’aumento riguarda, in oltre la metà dei casi, dipendenti a termine. In totale questi ultimi sono arrivati a 3 milioni 150 mila, quasi quanti erano, a gennaio 2021, i dipendenti della Pubblica Amministrazione: 3,2 milioni. Dunque, che i contratti a termine abbiano il valore più alto dal 1977 non è un record di cui ci si possa vantare, perché non porterà alcun contributo in termini di crescita né al Paese né ai singoli e alle famiglie coinvolte. Poco importa se il tasso di disoccupazione a marzo è sceso all’8,3%, tornando così ai livelli del 2010, perché la pandemia e i suoi effetti destabilizzanti sull’economia non sono affatto superati, perché si sono poi aggiunti quelli ancora più destabilizzanti del conflitto in Ucraina con un tasso di inflazione arrivato, a marzo 2022 su base annua, ad un ragguardevole 6,5%. A ciò si aggiunge quanto rilevato dal III Rapporto Censis-Ugl e cioè che chi ha un contratto a tempo determinato viene pagato il 32% in meno di chi è a tempo indeterminato e che il 10,4% dei lavoratori dipendenti è sottopagato, cioè può contare su una retribuzione mensile inferiore ai valori soglia di 953 euro per il full-time, di 533 euro per il part-time. Senza dimenticare che, complessivamente, nel 2010-2020 le retribuzioni lorde dei lavoratori italiani sono diminuite dell’8,3% – peggio dell’Italia hanno fatto solo Grecia (-16,1% reale) e Spagna (-8,6% reale) – il quadro del mercato del lavoro italiano, ridotto quasi più ad un “mercatino”, diventa estremamente preoccupante. Potrebbe apparire ingeneroso affermare tutto ciò proprio all’indomani di un Dl Aiuti che ha stanziato a 14 miliardi di euro a sostegno di 28 milioni di italiani.
Ma il deterioramento complessivo del lavoro e quindi delle certezze su cui possono contare la maggioranza degli italiani, compresi quei “fortunati” che un’occupazione ce l’hanno, è di livello tale da rischiare di trasformarsi in un pozzo senza fondo nel quale le risorse, pur ingenti, rischiano di disperdersi, qualora non venissero assunte adeguate iniziative, ivi compresa una riscrittura del Pnrr, che ristrutturino e rendano degno della parola “mercato” il lavoro italiano.