Tra anglicismi e burocrazia
di Mario Bozzi Sentieri

È una vecchia tecnica quella di confondere le idee della gente attraverso un uso strumentale del linguaggio. Nei “Promessi Sposi” Alessandro Manzoni ne offre più di un esempio. Don Abbondio parlando con Renzo usa il “latinorum” per metterlo in soggezione. Ferrer, gran cancelliere spagnolo a Milano, mescola italiano e spagnolo per confondere la folla. Azzegarbugli, “uomo di legge”, non è da meno, utilizzando il linguaggio come strumento d’inganno nei confronti del “promesso sposo” che si rivolge a lui per avere un aiuto legale. Cambiano i tempi ed i contesti (ieri la peste, l’invasione da parte di armate straniere, i signorotti di paese; oggi il Covid 19, i poteri anonimi, i super-tecnici figli della “politica senza popolo”) ma la manipolazione del linguaggio continua ad essere uno strumento essenziale, finalizzato ad influenzare le decisioni ed i comportamenti della gente. Il “latinorum” è fuori moda? Nessun problema, oggi è l’anglofilia dilagante a creare il distacco tra masse e nuovi poteri. E particolarmente in tempi di pandemia. Qualche esempio: green pass, hub, lockdown, booster, walk through, contact tracing, drive through. Non è proprio il massimo della chiarezza comunicativa. Eppure basterebbe dire: certificato vaccinale, centro, confinamento, richiamo vaccinale, procedura dettagliata, tracciamento dei contatti, percorribile in auto. Sull’utilizzo del termine “booster” si è espressa, criticandolo, anche la Crusca.  «La diffusione indiscriminata e acritica, tramite i media e non solo, della parola ‘booster’ da sola e senza l’equivalente italiano, che pure esiste – ha dichiarato Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca – mostra che ancora una volta si è persa l’occasione di aiutare gli italiani a capire meglio, forse per ‘educarli’ all’abbandono della loro lingua, o per dimostrare che l’italiano non ha parole adatte. E questo non è vero, perché ‘richiamo’, per i vaccini, esiste dalla prima del Novecento». Malgrado i richiami “dotti” l’anglofilia dilaga. Secondo alcune ricerche sono almeno sessanta i nuovi anglicismi crudi, inseriti ogni anno nell’uso corrente: un paradosso tutto italiano, visto il valore e la larga diffusione della nostra lingua, la quarta più studiata al mondo. L’anno scorso, sull’onda dell’anniversario dantesco, Fratelli d’Italia ha lanciato una proposta di legge per limitare l’uso dei termini stranieri anche negli atti ufficiali e per inserire l’italiano in Costituzione come lingua ufficiale. Come ebbe a dichiarare il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli: “Ci risulta incomprensibile il fatto che la Costituzione italiana ad oggi non abbia previsto la tutela della lingua italiana, dichiarandola lingua della Repubblica. La proposta di legge costituzionale di FdI si compone di due articoli, aggiungendo che la lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica”. Nel marzo 2020, il gruppo “Attivisti dell’italiano” lanciò un manifesto-petizione che così iniziava: “Noi vogliamo arginare l’anglicizzazione della lingua italiana non in nome del purismo, non per ostilità nei confronti dell’inglese, ma perché la amiamo e ci è cara”. Passaggi essenziali di questo appello: la “malattia” della nostra lingua, che ha perso la capacità di produrre i propri neologismi; l’abuso dell’inglese a scapito delle alternative italiane; il valore della “libertà di scelta e della ricchezza lessicale, che davanti all’inglese stereotipato viene sempre più a mancare”; la necessità che la nostra lingua “vada tutelata perché fa parte del nostro patrimonio culturale che va promosso e difeso alla stessa stregua dell’arte, delle nostre eccellenze e delle nostre radici di cui andiamo fieri”. Al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella venne poi lanciato un apposito appello: “La preghiamo, infine, di incoraggiare una campagna mediatica per difendere e favorire l’italiano che denunci l’abuso dell’inglese, come si è fatto con successo in Spagna o in Francia, e come da noi è avvenuto per sensibilizzare tutti sui temi sociali più importanti, dalla violenza contro le donne al bullismo. Ci piacerebbe vedere un’analoga iniziativa anche contro la discriminazione lessicale delle nostre parole.” L’iniziativa però non sembra avere sortito grandi risultati… Eppure la questione – come appare ben chiaro nella già ricordata emergenza Covid – va ben oltre la mera “tutela culturale” ed il richiamo ad un purismo d’annata. Il palleggiarsi – come abbiamo visto negli ultimi giorni – di date, scadenze, sanzioni, limitazioni , dietro il paravento dell’anglofilia, non aiuta a fare chiarezza. Non aiuta a rendere chiaro il rapporto tra cittadini ed istituzioni. Non aiuta soprattutto a fissare regole ed ambiti operativi, rendendoli facilmente intelligibili a tutti. Mai come nel caso del linguaggio la forma è sostanza. E se grande è la confusione sotto il cielo – come ormai sono costretti ad ammettere anche i commentatori vicini al governo – la situazione non sembra proprio ottima. Booster o non booster.