Per il Monte dei Paschi è tutto da rifare. Saltata la trattativa con Unicredit, restano gli impegni assunti dall’Italia nel luglio 2017 con la Commissione Ue per la ricapitalizzazione precauzionale della banca

Per Mps è arrivato (di nuovo) il Giorno della Marmotta: saltate le trattative tra UniCredit e ministero dell’Economia per la compravendita della banca, torna tutto in gioco. L’operazione di vendita andava fatta a condizioni di mercato, ma Unicredit ha chiesto al Mef la sottoscrizione di un aumento di capitale da 6,3 miliardi di euro per l’intera Mps, una cifra più alta del tetto massimo prefissato dal Tesoro (circa 5 miliardi). In più, con i 2,2 miliardi di crediti fiscali (Dta), lo Stato sarebbe arrivato a un impegno complessivo di 8,5 miliardi di euro. Altri nodi sul tavolo, infruttuosamente affrontati, non ultimo quello degli esuberi (partiti da 3mila sarebbero arrivati a circa 8000), hanno segnato la distanza tra il Mef e Unicredit e il rischio di configurare un maxi-aiuto di Stato a Unicredit per l’acquisto di una banca, la cui storia è intrecciata con la politica, di un ben determinato e noto colore. Insomma, Siena resta nelle mani del Tesoro, azionista al 64%, che rischia di doversela tenere un altro anno. Ma non potrebbe. E così si aprono seri problemi: dire addio al progetto di un terzo polo bancario attorno a Unicredit; ricevere un secco “no” dalla Commissione Ue per il permanere dello Stato in Mps; difficile trovare – nonostante le rassicurazioni del segretario del Pd, Enrico Letta – nell’immediato un’altra opzione che sarebbe o un’altra banca italiana (Bpm o Unipol in chiave Bper) o estera (Credit Agricole o Bnp Paribas) interessata a Mps. Un portavoce della Commissione europea ha sottolineato che l’esecutivo europeo «segue da vicino i recenti sviluppi riguardanti la Banca Monte dei Paschi di Siena ed è in contatto con le autorità italiane». Il portavoce ha ricordato, poi, che nel luglio 2017 la Commissione ha approvato il piano dell’Italia per sostenere una ricapitalizzazione precauzionale di Mps ai sensi della normativa Ue, «sulla base di un efficace piano di ristrutturazione e sulla base di alcuni impegni assunti dall’Italia nei confronti della banca». «Sta all’Italia – ha sottolineato – proporre soluzioni su come intende rispettare gli impegni presi nel 2017». E l’Italia, cioè Draghi, che fa? Il sindaco di Siena, Luigi De Mossi, chiede senza mezzi termini: «Non sarebbe uno scandalo se Draghi, grazie alla sua autorevolezza, chiedesse all’Europa una proroga per la permanenza dello Stato in MPS. La Banca è un patrimonio non solo di Siena ma dell’Italia». Draghi adesso si ritrova a dipanare una colossale matassa, politica e finanziaria. Difficile capire quale delle due, politica o finanza, riuscirà a prevalere.